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Il paese salvato dalla lavanda: storia di rigenerazione a Castelnuovo

Lavanda: fiori in primo piano
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Può la coltivazione della lavanda rappresentare una leva di rigenerazione sociale, agricola e turistica in un piccolo borgo? Stando a quanto avvenuto a Castelnuovo Don Bosco, piccolo borgo nell’astigiano, la risposta è un deciso sì. Nei paragrafi seguenti, caratterizzati da una miscela di narrazione territoriale, dati economici e analisi di impatto ambientale, mostreremo come un elemento naturale possa diventare motore di vero cambiamento.

Dove si trova Castelnuovo Don Bosco e perché rischiava l’abbandono

Castelnuovo deve il suo nome a San Giovanni Bosco, il più celebre tra i nativi locali, ed è collocato a circa 28 chilometri di distanza da Torino. Il nome si deve a un edificio fortificato, di cui oggi resta soltanto una torre rimaneggiata, attorno al quale sorse il paese. I residenti sono poco più di 3000 e il borgo è a rischio spopolamento. L’eventualità si era fatta concreta prima dell’intuizione che ha portato a coltivare massicciamente la lavanda, con gli abitanti del nucleo principale, quello che potremmo definire il centro storico, che erano arrivati a contare meno di 150 persone.

L’assenza di servizi, l’isolamento relativo e la crisi del settore primario avevano portato a un abbandono dell’area, con i paesani che preferivano cercare opportunità ad Asti o Torino. Anche a queste latitudini, la marginalità rappresenta un problema concreto. Le attività economiche legate all’agricoltura costringono a una vita legata ai tempi e ai ritmi del settore, che non è alla portata di chiunque. A ciò consegue un sensibile spopolamento il quale, inevitabilmente, mette in crisi anche le attività del terziario, le quali non trovano più clientela cui prestare i servizi che offrono.

L’abitato ha vissuto un’evoluzione demografica complessa. Negli anni ’70 ha toccato il minimo, con una popolazione che rasentava i 2500 abitanti, quantità che è poi tornata ad aumentare fino al picco di quasi 3300 nel 2011, quando l’operazione della piantumazione della lavanda stava iniziando a portare frutto, per poi ricominciare a discendere nell’ultimo decennio.

L’intuizione: piantare lavanda per cambiare il destino del paese

Circa 15 anni fa, alcune attività locali decisero di puntare sulla coltivazione di lavanda officinalis. Nel giro di qualche anno, i campi di Castelnuovo si colorarono di viola e iniziarono a emettere il caratteristico odore della pianta. Un buon numero di privati cittadini aderì con determinazione all’iniziativa, la quale venne presto supportata dall’amministrazione, agevolando il reperimento dei semi e stimolandone la piantumazione, durante la primavera. Il coinvolgimento comunitario si dimostrò elevato. La buona prassi del fiore utile si è ormai diffusa a macchia d’olio, sull’intero territorio comunale.

Le proprietà della lavanda spiegano la sua popolarità. Il fiore, dall’innegabile valore estetico, ha bassissima richiesta idrica ed è molto resiliente. Non è però certo soltanto ornamentale, dal momento che attrae insetti impollinatori e repelle afidi, formiche e altri parassiti. La piantumazione massiccia non serve dunque soltanto ad abbellire, bensì porta anche benefici all’agricoltura.

I risultati: rigenerazione agricola, turistica e sociale

L’aumento della coltivazione ha portato a una serie di ottimi risultati a cascata. L’area di Castelnuovo è diventata una delle preferite per l’industria della cosmetica, che si rifornisce ormai abitualmente da queste parti allo scopo di procurarsi un ingrediente chiave per oli e saponi. Al fine di agevolare questo interscambio, e monetizzarlo, sono sorte numerose piccole imprese o cooperative locali. La narrazione del borgo è completamente cambiata, da quella di un nucleo dove scarseggiano le opportunità professionali per giovani e adulti a uno dove si può inseguire una carriera, grazie ai fitti insediamenti di lavanda.

Anche il turismo ha riscoperto Castelnuovo Don Bosco, ove oggi si è diffusa la villeggiatura esperienziale. Percorsi sensoriali, ammirazione delle fioriture ed eventi estivi, culturali oppure di svago, sono diventati parte integrante della promozione turistica e hanno agevolato l’insediamento, o il ritorno, di persone e/o famiglie interessate a una carriera in questo settore, in decisa crescita in tutta Italia. I risultati ottenuti sono indubbiamente ottimi.

Lavanda: piante al tramonto
La lavanda è stata il miglior possibile alleato nella rigenerazione di un borgo come Castelnuovo Don Bosco, a rischio spopolamento

Gli effetti della lavanda a Castelnuovo (2015-2024)

INDICATORE20152024DIFFERENZA %
POPOLAZIONE RESIDENTE (CENTRO STORICO)146198+36%
PRESENZE TURISTICHE9203200+248%
MICROIMPRESE REGISTRATE39+200%
ETTARI COLTIVATI A LAVANDA1,57,2+380%

Fonte: Gruppi di Azione Locale, Comune di Castelnuovo Don Bosco (2024).

Perché la lavanda è una pianta rigenerativa

Il caso di Castelnuovo Don Bosco preso in esame, così come quello di altri borghi italiani che ne stanno seguendo le orme, ci mostra come la lavanda si ponga davvero come pianta rigenerativa, nel senso che possiede la capacità di rigenerare borghi a rischio abbandono. Una coltura di questo tipo non è soltanto aromatica, ma anche multifunzionale, per il territorio che va ad arricchire. È infatti resistente alla siccità, flagello con il quale avremo probabilmente molto a che fare nell’immediato futuro, oltre che facile da piantare, curare e accudire. Rinforza il suolo e non impatta sull’ambiente.

La sua principale capacità, in un’ottica di rigenerazione territoriale, resta comunque quella di restituire linfa vitale a borghi in declino abitativo. L’essenza di lavanda è utilizzabile nella cosmesi, così come per la distillazione, ma anche nell’industria alimentare (sia in prodotti dolci sia in quelli salati, come aroma per zucchero o miele, oppure sotto forma di fiore) o in quella dell’artigianato (con la lavanda essiccata si realizzano monili, gioielli o svariati elementi decorativi.

Un modello replicabile? Cosa serve per iniziare

Tappezzare un territorio con una simile coltura è replicabile pressoché ovunque, nel nostro Paese. Occorrono suolo fertile e clima conciliante, condizioni che possiamo ritrovare su gran parte del territorio peninsulare. Potremmo così arricchire profondamente un paesaggio brullo o incolto. Le amministrazioni che volessero prendere ispirazione dal successo di Castelnuovo farebbero bene a coinvolgere vivaisti, botanici e scuole, intercettando magari bandi per la trasformazione locale come quelli promossi dai Programmi regionali di Sviluppo Rurale (PSR); PNRR e GAL.

Dopo aver reperito fondi e competenze, ad ogni modo, quel che servirà maggiormente sarà la partecipazione della comunità. A Castelnuovo Don Bosco i residenti hanno accettato di buon grado la trasformazione e si sono fatti carico della fase 2 del progetto: quella della sua cura e interiorizzazione. Se dovesse mancare questo sviluppo, l’investimento potrebbe finire alle ortiche. Letteralmente. Per quanto la lavanda non sia una pianta che richiede dedizione e impegno, non la si può certo lasciare al suo destino.

I 5 elementi chiave per il successo di una rigenerazione basata sulla lavanda

  • La lavanda è una pianta facile da insediare (a basso input, come si suol dire) ma capace di restituire un altissimo valore, e farlo percepire ancor più elevato alla comunità;
  • è in grado di donare un’identità forte e peculiare al paesaggio sul quale viene introdotta;
  • crea rapidamente una filiera locale basso-impattante e capace di rimettere in moto un’area in depressione;
  • il caratteristico colore viola e la sua espansione si prestano bene a una promozione integrata a forte componente visual, come per esempio Instagram o la carta stampata;
  • può rafforzare o creare una componente di comunità, stimolando tutti i residenti a prendersi cura delle piante e ricompensandoli con odori inconfondibili e suoni caratteristici, come il ronzio degli insetti impollinatori, in via di estinzione.

Facciamo attenzione a non sottovalutare il potenziale rigenerativo della lavanda. Questa pianta può davvero porsi come pietra angolare in una rigenerazione rurale.

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Mattia Mezzetti

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