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Per i rifiuti speciali pericolosi mancano gli impianti

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In Italia abbiamo sei impianti di trattamento e cinque discariche destinate ai rifiuti speciali pericolosi. Troppo poco per una produzione che, nel 2021, ha raggiunto gli 11 milioni di tonnellate annue e ci costringe ad esportare all’estero quantitativi sempre crescenti.

Secondo i dati Ispra, nel 2021 i rifiuti speciali pericolosi esportati sono aumentati del 5% circa rispetto all’anno precedente: abbiamo mandato all’estero oltre un milione di tonnellate di rifiuti pericolosi, il 33% del quantitativo totale esportato (pericolosi e non). Complessivamente, sono comunque cresciuti rispetto al 2020 tutti i rifiuti inviati all’estero, di quasi l’8%. Nella terza parte dell’intervista a Gianfranco Giolitti, direttore Circular Economy di Edison Next, abbiamo cercato di capire qual è la situazione impiantistica nel nostro Paese e perché, sempre di più, ricorriamo ai mercati esteri per la gestione di questo tipo di rifiuti.

Giolitti, quanti impianti di trattamento di rifiuti speciali pericolosi ci sono in Italia?

“Escludendo le piattaforme intermedie di pre-trattamento, abbiamo in Italia pochi impianti finali adatti a trattare questi materiali: sei termovalorizzatori per rifiuti solidi e fangosi liquidi, per una capacità complessiva di circa 320 mila tonnellate. Per fare un confronto, la Germania ne ha 13 per una capacità complessiva di un milione e 400 mila tonnellate; la Francia ne ha nove per una capacità di un milione e 200 mila tonnellate e l’Austria quattro, in grado di trattare 490 mila tonnellate. Abbiamo, inoltre, solo cinque discariche che possono accettare i rifiuti pericolosi di questa natura, con una capacità residua di oltre un milione e 200 mila tonnellate che, secondo le stime, si esaurirà entro i prossimi cinque anni al massimo. Premesso che la discarica è l’ultima soluzione, c’è comunque una parte di residuo finale che deve esservi trasferito, perché in qualunque processo industriale c’è una parte che non viene trasformata”.

Questi impianti sono sufficienti a gestire la nostra produzione di rifiuti speciali pericolosi?

“Assolutamente no, considerando che la nostra produzione di rifiuti pericolosi è arrivata a quasi 11 milioni di tonnellate all’anno. Bisogna tenere presente, anche, che ogni discarica è autorizzata ad accogliere solo determinate tipologie di rifiuti: il rifiuto pericoloso viene analizzato e caratterizzato in base alla sua composizione e l’impianto che lo riceve deve essere autorizzato a ricevere quella caratterizzazione. Con cinque discariche soltanto, abbiamo quindi sia un problema di distribuzione territoriale, con rischi e impatti ambientali connessi al traporto dei rifiuti, sia la necessità di ricorrere a canali esteri, con le medesime criticità e con costi in crescita esponenziale”.

Quali sono e dove sono le discariche italiane di rifiuti pericolosi? 

“Sono Barricalla in Piemonte, nel Comune di Collegno, alle porte di Torino, nata nella seconda metà degli anni 80; quella di Systema Ambiente in Lombardia, a Montichiari in provincia di Brescia, attiva dal 1998; la discarica Bulera, in Toscana, a Pomarance in provincia di Pisa, di cui SCL Ambiente è titolare dal 2019; Geta nelle Marche, nella Valle del Bretta in provincia di Ascoli Piceno; e l’impianto gestito da Sovreco in Calabria a Crotone, aperto nel 1998. Ognuna è autorizzata ad accettare un tipo specifico di rifiuto e in quantità specifica. Per alcune tipologie il campo si restringe molto. Alcuni rifiuti pericolosi, come i cosiddetti tenorm (materiali che presentano una concentrazione di radioattività maggiore della media delle stesse tipologie di materiali a causa di manipolazioni o trattamenti da parte dell’uomo) contenenti amianto, non hanno collocazione in Italia e occorre esportarli. Anche all’esterno le quantità accettate stanno diminuendo”.

Quali sono i Paesi dove mandiamo i rifiuti pericolosi? E quanto ci costa?

“Li mandiamo prevalentemente in Germania, ma anche in Austria, Francia, Spagna e Ungheria. Destiniamo alla Germania più del 21% del totale dei rifiuti speciali esportati: oltre 830 mila tonnellate di rifiuti speciali, di cui più di 580 mila tonnellate sono rifiuti pericolosi. Questi rifiuti pericolosi sono, per metà circa, fanghi prodotti da trattamenti chimico-fisici, residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, rifiuti premiscelati contenenti almeno un rifiuto pericoloso, cioè appartenenti al capitolo 19 dell’Elenco europeo dei rifiuti. E per l’altra metà appartenenti al capitolo 17: pietrisco per massicciate ferroviarie e rifiuti di terra e rocce di scavo contenenti sostanze. La Francia è il secondo Paese in cui abbiamo mandato, nel 2021, più rifiuti pericolosi: oltre 200 mila tonnellate, su un quantitativo totale di rifiuti speciali di 314 mila tonnellate. Il costo medio, per trasporto e smaltimento, varia a seconda delle filiere: tra i 150 – 200 euro a tonnellata per i rifiuti liquidi destinati a termovalorizzazione, circa 250 euro a tonnellata per le discariche e l’amianto, tra i 350 – 650 euro a tonnellata per la termovalorizzazione di rifiuti solidi”.

I costi come si riducono?

“Autorizzando nuovi impianti in Italia”.

Si può dire che siamo indietro rispetto ad altri Paesi europei?

“Sì certo, molto”.

E perché?

“Perché questi Paesi hanno lavorato fortemente sulla cultura e l’accettazione di impianti che trattano i rifiuti, anche in aree urbane o limitrofe. E sono riusciti a far percepire che un rifiuto trattato industrialmente, con le dovute tecnologie e attenzioni, è molto meno impattante rispetto al non trattarlo o a trasferirlo”.

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