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Scoperte terre rare nelle discariche di Buddusò

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Grazie ad un progetto di riqualificazione delle aree di discarica delle cave di granito di Buddusò, in Sardegna, l’Università di Ferrara ha rilevato un’inaspettata concentrazione di terre rare nei residui delle lavorazioni estrattive. Aprendo la strada a canali di approvvigionamento a basso costo per le materie prime critiche.

Nelle aree di discarica delle cave di granito di Buddusò, in provincia di Sassari, si nasconde un tesoro: le discariche rappresentano infatti uno dei potenziali giacimenti di terre rare più grandi in Europa. Le terre rare, o materie prime critiche, sono fondamentali per il funzionamento di cellulari, pannelli fotovoltaici, batterie elettriche e turbine eoliche, per fare solo qualche esempio; sono necessarie alla creazione di filiere industriali nel campo della transizione ecologica e delle energie rinnovabili, e caratterizzate però da un alto rischio di fornitura. Tanto che, in attesa di una normativa europea sulle materie prime critiche annunciata dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il 28 settembre i ministri dello Sviluppo economico e della Transizione ecologica, Giancarlo Giorgetti e Roberto Cingolani, hanno firmato un decreto che istituisce il tavolo tecnico “Materie Prime Critiche” per studiare condizioni di approvvigionamento sicuro e sostenibile.

Dal progetto di riqualificazione delle discariche la scoperta delle terre rare

Intanto dall’Università di Ferrara arriva la scoperta di terre rare nella cava sarda, grazie al progetto “Waste treatment: reperimento di critical raw materials dalle discariche di sfridi di rocce ornamentali granitoidi”, sostenuto dal programma di finanziamento nazionale PON REACT-EU e da finanziamenti europei. Obiettivo primario del progetto – che si inserisce nei percorsi promossi dall’Unione europea per il Green Deal – è dare nuova vita ai residui delle lavorazioni estrattive e industriali, realizzando un impianto pilota in cui produrre minerali fondenti, i feldspati, per l’industria ceramica a partire dagli sfridi di granito, cioè gli scarti residui dell’attività estrattiva. Ma la ricaduta indiretta delle prime analisi è notevole. Nei graniti di Buddusò, composti per l’80%-85% di quarzo e feldspati, sono emerse anche buone percentuali di minerali di interesse tecnologico: fino al 15% di allanite, un minerale magmatico raro, ricco di terre rare (lantanio, cerio, praseodimio, samario e neodimio); interessanti quantità di ferro, tantalio e niobio; concentrazioni utili di germanio e gallio. La Professoressa Carmela Vaccaro del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione dell’Università di Ferrara è alla guida del progetto, affiancata dalle colleghe Elena Marrocchino – stesso Dipartimento dell’Università di Ferrara – e Rosalda Punturo dell’Università di Catania.

Professoressa Vaccaro, quella delle terre rare è stata una scoperta inaspettata?

“La parte inaspettata è l’abbondanza: avevamo sentore che ci fosse allanite, ma non in queste quantità”.

È una peculiarità del granito di queste cave, della Sardegna?

“Non tutti i graniti contengono questo minerale, che è un silicato di terre rare. Sì, è una specificità di queste cave. Ci sono altri corpi granitici in Sardegna, sempre nella zona di Buddusò o nel centro e nel sud dell’isola, che potrebbero avere la stessa potenzialità, ma non sono tantissimi. Si chiamano materie critiche proprio perché sono poco abbondanti, e si calcola che nel giro di un secolo molte non saranno più disponibili. Il tempo di vita dei giacimenti è molto breve. Scoprire un giacimento del genere ha quindi un grande valore per il paese in cui si trova”.

Possono esserci altri luoghi simili nel resto d’Italia?

“Io le posso rispondere per quello che ho indagato; gli altri corpi della Sardegna andrebbero analizzati, così come quelli di altre zone d’Italia, per esempio il Piemonte o la Lombardia, dove sono presenti graniti. Non le so dire se abbiano le stesse potenzialità, perché non sono stati indagati a questo scopo”.

Quali sono i prossimi passi della vostra ricerca per quanto riguarda le terre rare?

“L’impianto che prima era stato pensato solo per estrarre feldspati sarà riadattato, non solo per utilizzare i graniti ma per arricchire questi minerali di scarto e renderli fruibili per l’industria”.

Quanto tempo avete a disposizione?

“Abbiamo altri due anni e mezzo di attività di progetto, durante i quali si dovrebbe realizzare l’impianto. Inoltre, abbiamo chiesto un anno di proroga, proprio perché sono cambiate un po’ le condizioni. Il discorso iniziale riguardava infatti il distretto ceramico e la riqualificazione delle aree di discarica. Nei distretti lapidei spesso accade che i materiali non valorizzabili dal punto di vista ornamentale vengano accumulati, formando grosse discariche che impattano sia sul consumo di suolo che sul paesaggio. Il progetto nasce per sfruttare questi scarti, che sono caratterizzati da quarzi e feldspati, materiali impiegati per realizzare la ceramica dei piatti e dei sanitari. Una ceramica a corpo bianco, che attualmente acquistiamo dalla Turchia, un po’ dalla Cina, dai paesi asiatici. Mentre avremmo anche queste possibilità di approvvigionamento, più economiche”.

Sulle terre rare, si potrà poi dare seguito a un progetto ulteriore?

“Possiamo dare seguito a un progetto ulteriore oppure ne possono essere sviluppati altri nelle cave vicine. Uno dei compiti della ricerca è diffondere le informazioni. Se alla luce dei nostri risultati nascono altri progetti per valorizzare questi scarti, io sono solo contenta, perché significa che si risolve il problema dell’impatto delle discariche e si creano condizioni per portare sviluppo economico al territorio”.

Dal punto di vista ambientale e paesaggistico, come pensate di sistemare le discariche?

“Il nostro progetto è affiancato da un altro che riguarda la valorizzazione paesaggistica, la cui supervisione è affidata a Luca Emanueli, docente del Dipartimento di Architettura di Unife. Il lavoro è finalizzato a restituire suolo al territorio e alle sue funzioni ecosistemiche, liberandolo dagli accumuli e rivegetandolo”.

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