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Una montagna di plastica: il problema dell’inquinamento ad alta quota

Montagne innevate
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Per quanto possa sembrare incredibile, negli ultimi anni la comunità scientifica sta segnalando sempre più spesso la presenza di inquinamento (da microplastiche, ma non solo) anche sulle vette delle nostre montagne, luoghi che probabilmente in molti pensavano essere (fino ad oggi!) assolutamente incontaminati. Sfortunatamente, la realtà dei fatti è ben diversa e la causa di questo problema, neanche a dirlo, sono le attività umane, turismo di massa compreso. Di recente ci si è infatti resi conto di come la presenza degli esseri umani costituisca un problema serio anche ad alta quota e i suoi effetti (devastanti) sugli ecosistemi di quelle aree sono già piuttosto evidenti. Come risolvere questo vero e proprio dramma? In questo articolo cercheremo di delineare qual è lo scenario attuale e rispondere a questa e ad altre importanti domande legate al tema.

Indice

Plastica sulle Alpi: lo studio

L'inquinamento d'alta quota è uno dei numerosi problemi legati alle attività umane: ecco quali sono i suoi effetti e le possibili soluzioni.
La vetta di una montagna

A documentare i livelli crescenti di inquinamento da materie plastiche anche sulle nostre montagne, le Alpi, è stato in tempi non sospetti un regista indipendente, Manuel Camia, che insieme ad un gruppo di ricercatori dell’Università Statale di Milano si è spinto sul gruppo Ortles-Cevedale del Parco dello Stelvio per documentare lo scenario attuale. Grazie al suo documentario, “Montagne di plastica” è stato dunque possibile testimoniare le scoperte scientifiche a livello del più grande ghiacciaio vallivo italiano, portate a termine grazie al prelevamento e all’analisi di specifici campioni.

Il documentario (e sua volta la ricerca originaria) parte da una domanda apparentemente banale: se oggi le microplastiche sono praticamente ovunque, perché non dovrebbero essere presenti anche nei ghiacci d’alta quota? D’altra parte si sa che il ghiaccio è in grado di conservare per millenni preziosissime informazioni per la comunità scientifica. Rispetto al frutto del suo lavoro e a quello dei suoi colleghi, Marco Parolini, professore di Ecologia dell’Università degli Studi di Milano, ha spiegato a Io Donna:

Nel 2019, nel primo studio, abbiamo dimostrato la presenza di 75 microplastiche per chilo di detrito sopraglaciale, una quantità paragonabile a quella riscontrata nel fondo del mare e sulle coste, e quindi abbiamo ipotizzato che il ghiacciaio dei Forni ne possa contenere fino al 160 milioni. […] Le microplastiche sono particelle molto piccole, inferiori al millimetro, che spesso sfuggono all’occhio umano. Possono generarsi dalla degradazione delle plastiche, ma sono anche direttamente contenute in diversi prodotti per l’igiene, come alcuni dentifrici nei quali hanno un potere abrasivo, o ancora possono formarsi durante il bucato, in modo particolare dei capi sintetici: capi di poliestere come i comunissimi pile rilasciano fino a un milione di microfibre per ogni chilo lavato.

Come arrivano le microplastiche in vetta?

Una volta appurata la presenza di microplastiche anche in alta montagna, i ricercatori che si sono occupati di questi ultimi studi hanno iniziato ad interrogarsi riguardo alle modalità precise con cui questi materiali sono arrivati in quota. Risposte definitive a riguardo, almeno per il momento, non ce ne sono, anche se potrebbero facilmente essere state trasportate dalle piogge. Parolini ha a proposito aggiunto:

Al momento sono ipotesi su cui stiamo lavorando. Con le ricerche che stiamo portando avanti sul ghiacciaio dei Forni, scelto per la sua vastità oltre che per la sua vicinanza a grandi città come Sondrio, Brescia e Bergamo, potenziali fonti di contaminazione, puntiamo, poi, a capire se la loro presenza rappresenti una minaccia per gli organismi viventi della montagna – aspetto sui cui al momento non è possibile dare risposte esaustive – e se possa contribuire allo scioglimento in atto dei ghiacciai.

Immondizia sull’Himalaya

Purtroppo, l’inquinamento da plastica e da spazzatura è stato anche in grado di raggiungere le più alte vette del pianeta Terra, come il celeberrimo monte Everest, tutte situate sul massiccio asiatico dell’Himalaya. Vale a questo punto raccontare l’interessante esperienza dell’alpinista nepalese Nirmal Purja, che durante una visita del 2021 al Monte Manaslu in Nepal, l’ottava montagna più alta del mondo, non ha mirato alla vetta, bensì a pulire l’area da importanti cumuli di rifiuti, inclusi corde e bombole di ossigeno, lasciati da altri scalatori. Purja (star del documentario Netflix “14 Peaks”) e il suo team hanno rimosso 500 kg di rifiuti. Parlando della sua esperienza lo scalatore ha spiegato:

Ho visto di persona gli effetti del cambiamento climatico e dei rifiuti nell’Himalaya. Vogliamo proteggere e ripristinare queste montagne sacre per tutti coloro che le chiamano casa.

Come segnalano anche le Nazioni Unite, soprattutto durante la pandemia di Covid-19 i turisti hanno affollato le montagne del mondo, lasciando dietro di sé enormi montagne di rifiuti. Un sondaggio su 1.750 appassionati di montagna provenienti da 74 paesi ha a proposito evidenziato che il 99,7 per cento di loro ha visto spazzatura e rifiuti durante un tipico viaggio in montagna. La maggior parte di questi erano plastica, rifiuti organici e carta o cartone, soprattutto lungo i sentieri, vicino ai parcheggi o ai punti di sosta.

Come risolvere il problema?

Dobbiamo iniziare a parlare seriamente degli effetti pericolosi dell'inquinamento in montagna: ecco cosa sta accadendo ad alta quota.
Un’alba ad alta quota

Per gli esperti, se vogliamo sperare di trovare una soluzione all’inquinamento in montagna è fondamentale sensibilizzare il pubblico sulle conseguenze dell’inquinamento montano: per questo, il Comitato Olimpico Internazionale, in collaborazione con l’UNEP e le federazioni sportive montane, ha pubblicato i suoi “10 consigli per diventare un Eroe della Montagna”, una guida pratica per aiutare i visitatori delle montagne a ridurre il loro impatto ambientale. Le campagne promosse dall’UNEP e le iniziative correlate, come Beat Plastic Pollution, Clean Seas, Adopt a River e la Tide Turners Challenge, mirano a diminuire i rifiuti di plastica nell’ambiente e a sensibilizzare sulle possibili minacce che l’inquinamento da plastica rappresenta per gli ecosistemi. A livello globale, esistono molte campagne simili, oltre a leggi in un numero crescente di paesi che vietano alcune plastiche monouso.

Ad ogni modo, nonostante gli sforzi in atto, l’ONU segnala che “l’inquinamento da plastica è destinato a raddoppiare entro il 2030, un’evoluzione potenzialmente pericolosa per i fragili ecosistemi montani”.

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Alberto Muraro

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