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COP30 in Amazzonia: guida completa per capire cosa si decide in Brasile

COP 30: attivisti durante la scorsa COP
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In Brasile è tutto pronto per l’avvio dell’annuale conferenza delle Nazioni Unite sul clima, nota come COP30. Una simile localizzazione, e la deadline incombente per la presentazione dei nuovi piani climatici, rendono l’appuntamento una 10 giorni imperdibile per chiunque possieda una certa sensibilità ambientale.

La lotta contro il cambiamento climatico ha una sua capitale annuale. Quella dove si tiene la Conferenza delle Parti (Conference of Parties, da cui COP) nel mese di novembre. Nel 2025, tale località avrà significato e ubicazione nuovi. Senza precedenti. COP30 si terrà a Belém, nel cuore dell’Amazzonia, dal 10 al 21 Novembre. L’appuntamento segnerà il 30° vertice annuale ONU sul clima.

La scelta dell’ubicazione sottolinea come questa non sarà una semplice riunione diplomatica di routine, simile alla maggior parte di quelle che abbiamo vissuto negli ultimi anni. COP30 è considerata un vertice di rilevanza assoluta. Coinciderà infatti con una delle più importanti scadenze dell’Accordo di Parigi. I Paesi partecipanti dovranno presentare i loro nuovi, e più ambiziosi, piani climatici per il 2035. Questi sono noti come Nationally Determined Contributions (NDC) e decideranno la traiettoria globale delle emissioni per i prossimi dieci anni.

I negoziati saranno dominati da tre questioni centrali: finanza climatica (chi pagherà la transizione); operatività del fondo Loss and Damage (perdite e danni), che mira a risarcire i paesi più vulnerabili; azioni conseguenti al primo, e piuttosto sconfortante, bilancio globale (Global Stocktake). La scelta del Brasile come Paese ospitante e la localizzazione nella regione amazzonica pongono al centro del dibattito il ruolo insostituibile delle foreste, della biodiversità e dei popoli indigeni nella stabilizzazione del clima.

Cos’è una COP e perché questa è diversa dalle altre

Le Conferenze delle Parti rappresentano il cuore del processo decisionale multilaterale sul clima. Sono la sede nella quale si fa il punto sulla situazione attuale della lotta globale al cambiamento climatico e ove si stabilisce una strategia per i prossimi 12 mesi. In questi consessi viene monitorato l’andamento dei provvedimenti a lungo termine presi in precedenza. O, perlomeno, è quanto dovrebbe accadere. Tanto COP28 quanto COP29 sono state veramente deludenti e sembra essersi persa molta fiducia verso simili appuntamenti.

La funzione delle conferenze sul clima: un breve ripasso

Le conferenze sul clima COP nascono dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), istituita nel 1992, durante il Summit della Terra tenutosi proprio in Brasile, a Rio de Janeiro. La funzione primaria di questi meeting è esaminare i progressi nella lotta al cambiamento climatico e negoziare gli accordi operativi.

Nell’ultimo trentennio si sono tenuti due incontri fondamentali, considerevolmente più rilevanti di tutti gli altri per decisioni prese:

  • UNFCCC (1992): si stabilì l’opportunità della stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, a un livello che impedisca interferenze antropogeniche pericolose per il sistema climatico.
  • Accordo di Parigi (COP21, 2015): fissò l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, oltre che di perseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5 gradi. Si tratta dell’accordo più importante mai raggiunto, almeno finora.
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Il significato simbolico e politico di Belém

La scelta di Belém come sede di COP30 è una dichiarazione politica potente. La città è situata sulla foce del Rio delle Amazzoni e il messaggio che si vuole diffondere da tali latitudini è piuttosto chiaro: il futuro del clima globale è inscindibilmente legato al destino delle foreste e degli ecosistemi terrestri. L’Amazzonia è il più grande pozzo di carbonio del pianeta e il suo vasto serbatoio di biodiversità non vuole più essere soltanto lo sfondo del vertice, bensì diventarne il focus principale. Ci si augura che questo sposti l’attenzione dei negoziatori, tipicamente concentrati soltanto su energia fossile e industria.

Il ruolo della deforestazione e della conservazione degli ecosistemi è altrettanto rilevante e dobbiamo prendere questi due aspetti in considerazione come parte della strategia di mitigazione e adattamento a un cambiamento climatico sempre più presente.

La scadenza chiave: la presentazione dei nuovi NDC

La scadenza per la presentazione dei nuovi NDC è l’aspetto che rende COP30 un appuntamento tanto cruciale. Attraverso questi piani, ogni Paese comunicherà i propri obiettivi di riduzione delle emissioni; le strategie di adattamento e l’impegno finanziario che intende assumersi per il prossimo decennio. La dinamica è stata messa nero su bianco a Parigi, ormai 10 anni fa.

Gli NDC attuali non furono presentati in Francia, ma per lo più dopo il 2020. Coprono dunque i due lustri che si chiuderanno nel 2030. Quelli che verranno presentati alla COP30 saranno i primi ad allungare la finestra temporale, prolungandosi fino al 2035.

Le linee guida UNFCCC sono chiare per questo secondo pacchetto. I progetti dovranno essere più ambiziosi e maggiormente in linea con l’obiettivo del grado e mezzo. Come evidenziato dalla ONLUS Italian Climate Network, il successo di Belém sarà misurato non dalla retorica (che sarà servita a quintali, con ogni probabilità), bensì dalla qualità e dall’ambizione quantitativa dei nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni posti sul tavolo.

I 3 temi caldi sul tavolo dei negoziati di COP30

I negoziati in procinto di aprirsi a COP30 verteranno lungo tre direttrici principali. Tutte saranno legate al grande tema dell’equità tra i Paesi ricchi, inquinatori storici, e quelli poveri, vittime principali del cambiamento climatico.

COP30: un ghiacciaio in dissolvimento
COP30 dovrà dare nuove indicazioni, concrete ed efficaci, per mitigare un cambiamento climatico già evidente

1. Finanza climatica: chi paga la transizione?

Il primo tema è anche il più divisivo. Non per nulla, si tratta dell’impegno finanziario. Nel 2009, i Paesi sviluppati avevano promesso di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno, entro il 2020, allo scopo di aiutare le nazioni in via di sviluppo a ridurre le emissioni e adattarsi al cambiamento. Questo obiettivo è stato raggiunto quasi integralmente, ma con anni di ritardo.

Alla COP30 si dovrà definire un nuovo obiettivo finanziario collettivo quantificato (detto anche NCQG) che aggiornerà la cifra. L’ammontare richiesto dagli Stati in via di sviluppo è nettamente superiore. Potrebbe aggirarsi sulle centinaia di miliardi di dollari. Il negoziato, che si preannuncia spinoso, riguarderà tre elementi centrali:

  • la cifra totale del nuovo obiettivo, al netto dell’avanzamento del global warming e degli scenari geopolitici;
  • la ripartizione tra prestiti e sovvenzioni. Si tratta di un aspetto di rilevanza non sottovalutabile. I Paesi ricchi non hanno problemi a proporre prestiti, ma quelli in via di sviluppo desiderano sovvenzioni, poiché altrimenti finirebbero per restare intrappolati in una spirale di debiti;
  • le fonti e le modalità di finanziamento dell’ammontare stabilito.

2. Il fondo Loss and Damage, come si risarciscono i danni inevitabili?

L’istituzione del fondo per le perdite e i danni, in inglese Loss and Damage, è stata una delle vittorie più significative per gli Stati vulnerabili. Questo credito è destinato a risarcire chi sta già subendo e subirà gli impatti più devastanti, e ahinoi inevitabili, della crisi climatica: innalzamento del livello del mare; intensificazione degli uragani; siccità e alluvioni… Per questi e altri fenomeni d’intensità elevata, l’adattamento non è più sufficiente.

In Brasile occorrerà determinare le modalità attraverso le quali si possa rendere il fondo finalmente operativo e ben capitalizzato. Finora, non è stato nessuna delle due cose. A Belém sarà necessario definire chi possa accedere ai capitali e stabilire quali saranno le fonti di finanziamento. Un meccanismo finanziario equo è essenziale se si desidera ricostruire la fiducia tra le nazioni, progredendo in maniera decisa verso la mitigazione.

3. Il bilancio globale Global Stocktake e le azioni conseguenti

Il primo Global Stocktake è stato concluso alla COP28 di Dubai. Il GST è una sorta di inventario globale, a decorrenza quinquennale, che valuta i progressi collettivi verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. I risultati non sono stati esattamente positivi. Il mondo è infatti apparso ampiamente fuori rotta per mantenere l’aumento delle temperatura globale entro il grado e mezzo. Il lavoro della COP30 sarà anche quello di tradurre le conclusioni del GST in nuove e più ambiziose azioni nazionali. Ci si era riproposti di farlo anche a Baku, un anno fa. Non si concretizzò però nulla.

Il glossario della COP30: manuale per non perdersi durante i negoziati

TERMINE E/O ACRONIMOSIGNIFICATOIMPORTANZA A COP30
NDC (Nationally Determined Contribution)Si tratta del piano climatico che ogni Paese presenta, sul quale illustra i propri obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Questi piani sono il cuore dell’Accordo di Parigi e rappresentano l’impegno volontario di ciascuna nazione per contribuire all’azione climatica globale.A COP30, andranno presentati i nuovi NDC con obiettivi al 2035. Saranno decisivi per determinare se l’obiettivo, ambizioso, di limitare l’aumento della temperatura globale a 1.5°C, rispetto ai livelli preindustriali, sia ancora realisticamente raggiungibile o meno. La loro ambizione e concretezza saranno sotto la lente d’ingrandimento della comunità internazionale. Sarà fondamentale assicurarsi che riflettano una traiettoria di riduzione delle emissioni in linea con le migliori evidenze scientifiche disponibili e vedano il supporto di politiche e investimenti reali.
Loss and Damage (Fondo per limitare perdite e danni)Si riferisce ai costi economici e non (perdita di terre coltivabili; distruzione di infrastrutture; spostamento forzato di popolazioni; scomparsa della biodiversità; distruzione di patrimoni culturali e storici) causati dagli impatti climatici ormai inevitabili e irreversibili. Questi includono eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e intensi, come inondazioni, siccità e ondate di calore, nonché processi a lento avvio quali l’innalzamento del livello del mare e la desertificazione.Il fondo rappresenta un passo significativo verso la giustizia climatica. Tuttavia, a COP30, si dovranno definire le modalità operative e di finanziamento strutturale. Le discussioni verteranno su chi dovrà contribuire finanziariamente, in che misura e con quali criteri. Soprattutto, si dovrà stabilire a chi destinare le risorse. Bisognerà prendere decisioni su come garantire il raggiungimento delle comunità più vulnerabili e l’utilizzo dei fondi in modo efficace. L’obiettivo è ricostruire, recuperare e compensare le perdite subite, le quali spesso danneggiano Paesi che hanno contribuito minimamente alle emissioni.
Bilancio globale Global StocktakePrevisto dall’Accordo di Parigi, il GST valuta i progressi collettivi della comunità internazionale verso il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine dell’Accordo. In particolare, punta al mantenimento del riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e al perseguimento di sforzi per limitarlo a 1.5.
Il primo Global Stocktake si è concluso a COP28. Ha rilevato molta distanza tra gli impegni attuali e quanto sarebbe necessario fare per evitare gli impatti più catastrofici del cambiamento climatico. Le analisi hanno confermato che il mondo non è sulla buona strada per limitare il riscaldamento. COP30 è la chance per rispondere in modo concreto e ambizioso ai risultati del Global Stocktake. I Paesi saranno spinti a presentare piani climatici più robusti e rafforzare la cooperazione internazionale. Si attendono decisioni su come accelerare la transizione energetica, sulla possibilità di aumentare la resilienza e sulle garanzie di un finanziamento climatico adeguato.
Articolo 6 dell’Accordo di ParigiQuesta specifica sezione dell’Accordo di Parigi regola i mercati internazionali del carbonio. Permette lo scambio di crediti di emissione derivanti da progetti di riduzione delle emissioni o di assorbimento di carbonio. L’obiettivo è facilitare una riduzione delle emissioni globale più efficiente in termini di costi, consentendo gli investimenti in progetti di riduzione in altre nazioni.L’implementazione dell’Articolo 6 è stata finora estremamente controversa e ha generato significativi dibattiti nelle COP precedenti, principalmente a causa della mancanza di regole chiare e robuste. A COP30 si cercherà di definire finalmente regole chiare e trasparenti per il funzionamento di questi mercati. L’obiettivo principale è evitare il doppio conteggio delle riduzioni di emissioni, che avviene quando le stesse vengono contabilizzate sia dal Paese acquirente che da quello venditore, gonfiando artificialmente i progressi globali. Servirà poi garantire l’integrità ambientale di tali scambi. Andranno prese decisioni su meccanismi di supervisione; rendicontazione e trasparenza, al fine di assicurare che i crediti di carbonio rappresentino riduzioni reali e aggiuntive, evitando il greenwashing e assicurando che questi meccanismi contribuiscano effettivamente alla mitigazione globale. Senza ostacolarla.

Il ruolo dei popoli indigeni

La scelta di Belém pone il ruolo dei popoli indigeni al centro del dibattito. Perlomeno in teoria. Si prevede una partecipazione senza precedenti dei loro rappresentanti, in particolare di quelli residenti in Amazzonia.

I popoli indigeni sono tra le principali vittime della deforestazione. Queste persone sono riconosciute come i custodi più efficaci dei vasti territori ad alta biodiversità. Studi scientifici hanno dimostrato che le terre gestite dai popoli indigeni mostrano tassi di deforestazione significativamente inferiori rispetto ad altre aree. Sono popolazioni portatrici di conoscenze tradizionali fondamentali per conservare e gestire le risorse in maniera sostenibile.

Le loro richieste alla COP30 saranno, con ogni probabilità, perentorie:

  • domanderanno un ruolo decisionale, chiedendo di non essere più soltanto consultati, ma di poter essere parte attiva ai tavoli futuri relativi a temi riguardanti le loro terre;
  • chiederanno finanziamenti diretti. Inevitabilmente, avranno necessità economico-finanziarie legate alla protezione delle terre e al sostentamento dei sistemi di governance territoriale;
  • solleciteranno il pieno riconoscimento dei loro diritti territoriali e chiederanno protezione legale. Due temi di cui si parla da molto, ma che non sono mai stati normati.

COP30 potrebbe rappresentare un vertice di svolta. Le questioni di equità finanziaria e ambientale saranno i pilastri di una negoziazione che definirà il percorso del pianeta verso la metà del secolo, e magari anche oltre. Il condizionale, però, resta d’obbligo.

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Mattia Mezzetti

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