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Lotta ai cambiamenti climatici, l’Italia non fa abbastanza

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Nonostante le emissioni di gas serra stiano diminuendo e l’utilizzo di energia da fonte rinnovabile sia in aumento, siamo ancora lontani sia dagli obiettivi di mitigazione che di adattamento ai cambiamenti climatici. Troppo poco per rimanere sotto la soglia critica degli 1,5°C stabilita dagli accordi di Parigi.

Aumenta l’uso di energia da fonti rinnovabili, il ricorso all’agricoltura biologica, le percentuali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e la qualità dell’aria rispetto alla presenza di particolato sottile (PM 2,5). Sono le luci sul percorso intrapreso dall’Italia rispetto alla rotta tracciata dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, dal Green Deal europeo e dalla Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile secondo quanto emerge dal “Rapporto Ambiente” del Sistema nazionale di protezione dell’Ambiente (SNPA), costituito da Ispra e dalle Agenzie ambientali regionali. Stabile, quindi deludente, è invece la situazione rispetto ai cambiamenti climatici, dato che gli inevitabili impatti del cambiamento climatico rendono necessarie azioni di adattamento importanti. 

Lotta al cambiamento climatico: a che punto siamo in Italia

La lotta al cambiamento climatico e i suoi effetti si sviluppa lungo due direzioni: quello della mitigazione, volta a ridurre progressivamente le emissioni di gas climalteranti responsabili del riscaldamento globale, e quello dell’adattamento che mira a diminuire la vulnerabilità dei sistemi naturali e socio-economici e aumentare la loro capacità di risposta (resilienza) di fronte agli inevitabili impatti di un clima che cambia. Sotto quest’ultimo aspetto, solo a inizio anno è stato approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC), mentre a livello regionale solo la Lombardia può vantare un suo Piano.

L’obiettivo di fondo è evitare il fatidico aumento di 2°C rispetto alla temperatura dell’epoca preindustriale, che provocherebbe gravi impatti negativi sull’ambiente naturale e sulla salute e il benessere umano. Per tale motivo la comunità internazionale ha ritenuto necessario mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di questa soglia critica e proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C. Se non si raggiungesse questo obiettivo minimo, il rischio di andare incontro a scenari distopici sarebbe più che verosimile.

L’Italia negli ultimi trent’anni (1991–2020) ha registrato valori della temperatura media spesso superiori a quello medio globale sulla terraferma. Come già evidenziato nel Rapporto sul clima di Ispra, il 2022 è risultato l’anno più caldo dal 1961, con una marcata anomalia della temperatura media (+1,23°C) rispetto alla media climatologica 1991–2020, superiore di 0,58°C rispetto al precedente record assoluto del 2018 e di 1 °C rispetto al valore del 2021. E questo nonostante le emissioni di gas serra prodotte dall’Italia si siano ridotte di circa un quinto rispetto al 1990.

Dopo l’arresto delle attività a causa dell’emergenza sanitaria legata al Covid 19, le emissioni di gas serra in Italia hanno mostrato nel 2021 un fisiologico incremento dell’8,5% rispetto al 2020. In particolare, le emissioni che ricadono nel campo di applicazione del regolamento “Effort sharing” – edilizia, agricoltura (per emissioni diverse dal CO2), gestione dei rifiuti, trasporti (tranne quelli aerei e marittimi) e industria – secondo lo scenario a politiche correnti, nel 2030 si ridurranno di circa il 28% rispetto ai livelli del 2005, a fronte di un obiettivo di riduzione del 44%. Insomma, molto ancora rimane da fare, anche se il tempo è già scaduto.

Energia rinnovabile: obiettivo 42% entro il 2030

La riduzione delle emissioni, riscontrata in particolare dal 2008, è da ascrivere secondo i ricercatori sia alla riduzione dei consumi energetici, sia alle produzioni industriali, a causa della crisi economica e della delocalizzazione di alcune produzioni, ma anche alla crescita di produzione di energia da fonti rinnovabili e all’incremento di efficienza energetica

Seppur lontana dal target fissato al 2030, nel 2020 la quota di energia rinnovabile, pari al 20% del consumo finale lordo, ha superato l’obiettivo del 17% previsto per lo stesso anno ed è più che triplicata rispetto al 2004, quando rappresentava appena più del 6% del consumo finale lordo di energia. Nel 2021 tale quota è scesa al 19%, un’inversione di tendenza pericolosa.

Grazie alle misure di incentivo e nonostante gli ostacoli sia di carattere burocratico che di natura politica, l’impiego di energia pulita è comunque cresciuta da 14 Mtep del 2005 a 29 Mtep del 2021, raggiungendo il 20% circa del mix energetico del Paese. Contestualmente, la domanda di energia da fonti fossili ha registrato una contrazione complessiva di circa 60 Mtep e un decremento medio annuo del 3%, con riduzioni del petrolio e del carbone molto più sensibili rispetto a quelle registrate dal gas naturale. 

La strada da percorrere è ancora lunga. Secondo il Renewable Energy Country Attractiveness Index di EY, la classifica dei primi 40 Paesi al mondo per attrattività di investimenti e opportunità di sviluppo nel settore delle energie rinnovabili, l’Italia è al quattordicesimo posto, lontana anni luce dalle performance di Paesi come gli Stati Uniti, la Germania, la Cina, la Danimarca, la Svezia, la Norvegia. Da sottolineare che, nell’ottobre 2023, Parlamento e Consiglio europeo hanno innalzato l’obiettivo in materia di energie rinnovabili per il 2030 portandolo al 42% e puntando a raggiungere il 45%, quasi il doppio dell’attuale quota di energie rinnovabili nell’Unione europea, Italia compresa.

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