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Luci e ombre sui risultati della Cop15 sulla biodiversità

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Non c’è mai stato un obiettivo globale sulla tutela della biodiversità come quello uscito dalla Conferenza sulla Biodiversità che si è tenuta a Montreal. Eppure, le scadenze prefissate sono per alcuni ambientalisti tutt’altro che ambiziose.

La firma del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework ha chiuso il 19 dicembre la quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (Cop15), due settimane di vertice a Montreal, in Canada. 188 Paesi hanno sottoscritto, dopo ben quattro anni di negoziati, una bozza di accordo quadro sulla biodiversità, che traccia la strada da seguire per le politiche di conservazione e tutela delle specie viventi e degli ecosistemi entro il 2030. Tra gli obiettivi fissati, la tutela del 30% delle terre e delle acque considerate importanti per la biodiversità, una quota che aumenta di parecchio il 17% delle terre e l’8% delle aree marine attualmente protette, e il sostegno con 30 miliardi di dollari in aiuti annuali per la conservazione nei Paesi in via di sviluppo; uno dei temi più dibattuti e controversi dei colloqui. Si sancisce, inoltre, il principio secondo il quale dovrà essere bonificato il 30% delle terre che ad oggi risultano degradate a causa delle attività antropiche, un obiettivo maggiore rispetto al 20% inizialmente ipotizzato; ma non è stata accolta la richiesta di indicare un obiettivo espresso in ettari, né è stato chiarito che cosa rientri nella nozione di terre degradate.

La Cop 15 ha fissato 23 obiettivi da raggiungere entro il 2030

Il testo uscito dalla Conferenza sulla Biodiversità prevede 23 obiettivi da raggiungere entro il 2030. Tra questi:

  • la conservazione e gestione efficace di almeno il 30% della terra, delle aree costiere e degli oceani del mondo;
  • il ripristino del 30% degli ecosistemi terrestri e marini;
  • la riduzione quasi a zero della perdita di aree ad alta biodiversità e ad alta integrità ecologica;
  • dimezzare lo spreco alimentare globale;
  • eliminare gradualmente o riformare i sussidi che danneggiano la biodiversità per almeno 500 miliardi di dollari all’anno, aumentando al contempo gli incentivi positivi per la conservazione della biodiversità e l’uso sostenibile;
  • mobilitare almeno 200 miliardi di dollari all’anno da fonti pubbliche e private per il finanziamento della biodiversità;
  • aumentare i flussi finanziari internazionali dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo ad almeno 30 miliardi di dollari all’anno;
  • richiedere alle imprese transnazionali e alle istituzioni finanziarie di monitorare, valutare e divulgare in modo trasparente i rischi e gli impatti sulla biodiversità attraverso le loro operazioni, i loro portafogli, le loro catene di approvvigionamento e di valore.

Luci e ombre sui risultati della Cop15

Il testo presenta luci e ombre. “Siamo giunti a un momento storico, al termine di un lungo viaggio pieno di ostacoli – ha affermato da Huang Runqiu, presidente della Cop15 e Ministro cinese dell’Ambiente – siamo arrivati a destinazione: abbiamo un patto mondiale sulla biodiversità”. Ora, è tutto da mettere in pratica. “Il successo sarà misurato dai nostri progressi rapidi e coerenti nell’attuazione di ciò che abbiamo concordato – ha sottolineato il direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) Inger Andersen – L’intero sistema delle Nazioni Unite è orientato a sostenerne l’attuazione, in modo da poter davvero fare pace con la natura”. La posta in gioco è alta: un milione di specie vegetali e animali è attualmente minacciato di estinzione, molte delle quali nel giro di pochi decenni. Il Global Biodiversity Framework si articola in quattro obiettivi globali per la protezione della natura:

  • arrestare l’estinzione delle specie minacciate indotta dall’uomo e ridurre il tasso di estinzione di tutte le specie di dieci volte entro il 2050;
  • l’uso e la gestione sostenibile della biodiversità per garantire che il contributo della natura all’uomo sia valorizzato, mantenuto e potenziato;
  • l’equa condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche e delle informazioni sulla sequenza digitale delle risorse genetiche;
  • l’accessibilità di mezzi adeguati per attuare l’accordo per tutte le parti, in particolare per i Paesi meno sviluppati e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo. È stata inoltre richiesta l’istituzione di un fondo fiduciario speciale per sostenere l’attuazione del Global Biodiversity Framework, al fine di garantire un flusso di fondi adeguato, prevedibile e tempestivo.

“Il testo dell’accordo contiene alcuni segnali forti in materia di finanza e biodiversità, ma non riesce ad andare oltre gli obiettivi di 10 anni fa nell’affrontare i fattori che determinano la perdita di biodiversità in settori produttivi come l’agricoltura, la pesca e le infrastrutture, e quindi rischia di non essere completamente efficace” ha commentato Andrew Deutz, direttore delle Politiche globali, delle istituzioni e della finanza per la conservazione di The Nature Conservancy. Mentre il direttore del gruppo di conservazione Campaign for Nature, Brian O’Donnell, ha sottolineato l’importanza dell’accordo: “non c’è mai stato un obiettivo di conservazione a livello globale di questa portata. Questo ci mette in condizione di salvaguardare la biodiversità dal collasso. Siamo ora all’interno del range che gli scienziati pensano possa fare una differenza marcata per la biodiversità”. Ma la Wildlife Conservation Society e altri gruppi ambientalisti temono che rimandare al 2050 l’obiettivo di prevenire l’estinzione delle specie, preservare l’integrità degli ecosistemi e mantenere la diversità genetica all’interno delle popolazioni sia una scadenza tutt’altro che ambiziosa.

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