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Nuova direttiva sulle acque reflue urbane: trattamento dei microinquinanti obbligatorio dal 2045

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La nuova direttiva europea sulle acque reflue urbane, entrata in vigore all’inizio del 2025 e in attesa di recepimento da parte degli Stati membri, ha scatenato, a distanza di un paio di mesi, una violenta reazione del settore farmaceutico e cosmetico. Secondo il nuovo testo, i produttori di prodotti farmaceutici e cosmetici saranno, infatti, chiamati a coprire almeno l’80% dei costi aggiuntivi per il trattamento quaternario delle acque reflue – il quarto livello di trattamento di depurazione previsto dalla direttiva, volto a eliminare la presenza di cosiddetti “microinquinanti” – attraverso un regime di responsabilità estesa del produttore (EPR) e in conformità al principio “chi inquina paga”.

Il settore è considerato la principale fonte di microinquinanti nelle acque reflue urbane. Ma molte aziende non ci stanno. A cominciare da quelle aderenti alla Federazione europea delle industrie e delle associazioni farmaceutiche (EFPIA), che ha presentato un’istanza presso il Tribunale dell’Unione Europea “per fare chiarezza sulla direttiva”, in particolare su “come la decisione di includere solo due settori nella responsabilità del trattamento quaternario delle acque reflue urbane in Europa si allinei con il principio ‘chi inquina paga’ dell’Ue”, come dichiara in una nota del 10 marzo 2025. Giorno in cui anche Medicines for Europe, associazione dei produttori europei di equivalenti, biosimilari e medicinali a valore aggiunto, comunica il proprio sostegno al ricorso presentato “da dieci multinazionali del settore dei farmaci fuori brevetto (off patent)” contro la direttiva al fine di “evitare un onere di costi discriminatorio e sproporzionato e quindi a salvaguardare l’accesso dei pazienti ai medicinali essenziali”.

Le stime dei costi di Medicines for Europe

Il ragionamento di Medicines for Europe è il seguente: il prezzo dei prodotti della cosmesi potrà essere adeguato rispetto ai nuovi oneri; i produttori di medicinali equivalenti non avranno la possibilità di adeguare liberamente i prezzi per effettuare una compensazione e si ritroveranno con prodotti resi economicamente non sostenibili dalla nuova direttiva. Il sistema EPR colpisce in modo sproporzionato i produttori di medicinali fuori brevetto, che rappresentano il 70% dei medicinali dispensati dai sistemi sanitari Ue e il 90% dei medicinali essenziali, ma solo il 19% della spesa farmaceutica.

La direttiva stima in 1,2 miliardi di euro all’anno il costo del trattamento delle acque, cifra che sarebbe, invece, sottostimata secondo le proiezioni basate su stime nazionali di Paesi come la Germania e secondo il raggruppamento europeo degli enti e delle imprese incaricate del trattamento delle acque a livello nazionale, che attesterebbero il costo dell’operazione tra i 5 e gli 11 miliardi di euro annui. Anche le cifre più basse fornite dalla Commissione europea sarebbero comunque insostenibili secondo le proiezioni di Medicines for Europe: l’industria dei farmaci equivalenti e biosimilari si troverebbe a sostenere fino al 60% dei costi dello schema, con un impatto senza precedenti sulle forniture di medicinali utilizzati ogni giorno da milioni di pazienti in Europa.

La battaglia giuridica di EFPIA

EFPIA ha invece impugnato la direttiva per ottenere “chiarezza giuridica” in merito, considerando arbitraria la decisione di ritenere solo le industrie farmaceutiche e cosmetiche responsabili dei costi di trattamento delle acque reflue urbane. Una decisione che, secondo EFPIA, “non solo è intrinsecamente ingiusta, ma mina l’ambizione del Green Deal e non riuscirà a incentivare altri settori a ridurre i microinquinanti nell’acqua”. I principi dell’UE di non discriminazione, proporzionalità e del “chi inquina paga” non si riflettono nella direttiva; gli obblighi imposti dalla direttiva ai produttori di farmaci sono inoltre contrari al requisito della certezza del diritto. “L’Europa ha bisogno di una legislazione ambientale che funzioni, in cui tutti i settori siano incentivati a ridurre in modo sostenibile i microinquinanti e in cui i costi di trattamento per i produttori siano allineati al volume di microinquinanti presenti nelle nostre acque”, ha dichiarato Nathalie Moll, direttrice generale dell’EFPIA.

La direttiva 2024/3019: nuove norme per un trattamento più efficiente

La direttiva 2024/3019 sul trattamento delle acque reflue urbane (UWWTD) – che rivede la direttiva adottata nel 1991 per proteggere l’ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue da fonti urbane e settori specifici – è entrata in vigore il 1° gennaio 2025 e va recepita dagli Stati membri entro il 31 luglio 2027.

L’oggetto del provvedimento è all’articolo 1: “la presente direttiva stabilisce norme sulla raccolta, sul trattamento e sullo scarico delle acque reflue urbane, allo scopo di proteggere l’ambiente e la salute umana, in conformità all’approccio One Health, riducendo progressivamente le emissioni di gas a effetto serra a livelli sostenibili, migliorando i bilanci energetici delle attività di raccolta e trattamento di tali acque e contribuendo alla transizione verso un’economia circolare. Essa stabilisce inoltre norme sull’accesso ai servizi igienico-sanitari per tutti, sulla trasparenza del settore delle acque reflue urbane, sulla sorveglianza periodica di parametri rilevanti per la salute pubblica nelle acque reflue urbane e sull’attuazione del principio ‘chi inquina paga’”.

La tabella di marcia della nuova direttiva

Il testo fissa per l’entrata in vigore di nuovi obblighi di depurazione la seguente tabella di marcia: entro il 2035 tutti gli agglomerati con almeno 1000 abitanti equivalenti devono essere dotati di reti fognarie alle quali devono essere collegate tutte le fonti di acque reflue domestiche (a differenza delle norme precedenti che stabilivano una soglia minima di 2000 abitanti equivalenti). Per questi stessi agglomerati, sempre entro il 2035 gli Stati membri devono provvedere al trattamento secondario: rimuovere la materia organica biodegradabile dalle acque reflue urbane prima dello scarico nell’ambiente. Il trattamento terziario, cioè l’eliminazione dell’azoto e del fosforo, sarà obbligatorio entro il 2039 per gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane che trattano un carico di almeno 150 000 abitanti equivalenti. Per tali impianti, entro il 2045 gli Stati membri dovranno applicare un trattamento supplementare, il trattamento quaternario, per rimuovere i microinquinanti.

Diventano più stringenti le regole per il monitoraggio di vari parametri di salute pubblica riguardanti inquinanti chimici, microplastiche, agenti patogeni e resistenza antimicrobica. Previsto anche l’obbligo degli Stati membri di promuovere il riutilizzo delle acque reflue trattate, in particolare nelle zone soggette a stress idrico.

Le nuove norme introducono anche un obiettivo di neutralità energetica: entro il 2045 gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane che trattano un carico di 10 000 abitanti equivalenti o più dovranno utilizzare energia da fonti rinnovabili generata dai rispettivi impianti.

La valutazione di Legambiente

Secondo Andrea Minutolo, coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente, a cui abbiamo chiesto un parere, la direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane va nella giusta direzione e si inserisce in un contesto normativo più ampio volto monitorare costantemente la qualità dei nostri corpi idrici e di limitare tempestivamente fenomeni di inquinamento e cattiva gestione. “Basti pensare – dice Minutolo – come, secondo le ultime valutazioni fatte, il tasso di conformità della depurazione in Italia è complessivamente pari al 56 %, al di sotto della media UE del 76 %. 

A livello nazionale, gli scarichi di acque reflue urbane contribuiscono in modo significativo a una qualità dell’acqua non buona nel 45,8% dei corpi idrici superficiali, tra fiumi, laghi e costieri. In questo scenario, in linea con il principio “chi inquina paga”, è stata introdotta anche la responsabilità estesa del produttore (EPR) per i medicinali per uso umano e i prodotti cosmetici. Questo passaggio è stato necessario per coprire i costi del trattamento aggiuntivo, di tipo quaternario, per rimuovere i microinquinanti dalle acque reflue urbane. Costi che altrimenti sarebbero potuti ricadere sulle spalle degli utenti, ovvero i cittadini”.

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