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Sempre più microplastiche nei pesci: i rischi per la nostra salute

Un banco di pesci
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Le attività antropiche, vale a dire quelle degli esseri umani, sono state in grado nel corso degli anni di generare enormi danni a livello ambientale, anche per quanto riguarda gli oceani oltre all’atmosfera: in particolar modo, la presenza massiccia di materie plastiche ha causato un forte inquinamento dei mari, con effetti deleteri molto preoccupanti sulla fauna marina. Gli ultimi studi a riguardo, a proposito, delineano uno scenario piuttosto inquietante, soprattutto per quanto riguarda la salute dei pesci. Ecco quello che è necessario sapere nel merito della questione.

Indice

Cosa sono le microplastiche

Qual è attualmente la situazione relativa alle microplastiche nei nostri oceani e che effetti hanno sui pesci? Ecco cosa sappiamo.
Pesce pagliaccio

Si veda innanzitutto di cosa stiamo parlando esattamente quando ci riferiamo alle microplastiche, per avere un’immagine un po’ più limpida della situazione.

Le microplastiche, come d’altra parte suggerisce anche il loro nome, sono minuscoli frammenti di plastica generalmente di dimensioni inferiori ai 5 millimetri, che si trovano nell’ambiente, specialmente negli oceani, nei laghi, nei fiumi e persino nel suolo e nell’aria. Si tratta di elementi nati dalla frammentazione di oggetti di plastica come sacchetti, bottiglie, cannucce e che proprio alla luce delle loro dimensioni ridotte vengono spesso ingerite dagli animali selvatici, contaminando in questo modo le catene alimentari e rilasciando nel loro organismo sostanze chimiche dannose.

Non ci dovremmo stupire, in realtà, della presenza di microplastiche negli oceani, considerata l’enorme quantità di materie plastiche nei nostri mari: è ben nota, ad esempio, la presenza di almeno cinque grandi isole di rifiuti plastici negli oceani, trascinati dalle correnti nel corso dei decenni.

I dati sulle microplastiche nei pesci

Greenpeace, a proposito, ha sviluppato in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM) e l’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino (IAS) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Genova uno studio molto importante su oltre 300 organismi marini che di norma troviamo sulle nostre tavole: l’analisi sulla presenza di microplastiche in questi animali ha dunque preso in considerazione sia pesci sia invertebrati, come ad esempio scorfani, sgombri, acciughe, scampi e cozze. I risultati di queste analisi degli esperti confermano, ahinoi, la presenza di microplastiche in tali organismi, gli stessi che poi finiscono sulle nostre tavole.

Lo studio ha sottolineato come le microplastiche fossero presenti nel 35% degli animali pescati nel nostro Mar Tirreno nella primavera del 2019. Le concentrazioni maggiori di queste sostanze, in modo particolare, sono state segnalate soprattutto sugli animali presenti nell’area del Santuario dei Cetacei.

I dati, inoltre, sembrano peggiorare di anno in anno. La ricerca condotta nel 2019, infatti, ha messo in evidenza dei risultati più preoccupanti rispetto a quelli di due anni prima, quando la presenza di microplastiche negli organismi marini si era attestata al 30% (e al 27% nel campione pescato nel Mare Adriatico).

Quali sono gli effetti delle microplastiche sugli esseri umani?

Se è indubbio che la presenza di microplastiche negli organismi marini abbia un impatto negativo sulla qualità della vita di questi animali, la situazione diventa più complessa quando parliamo degli esseri umani.

C’è da dire che, in linea di principio, la plastica non la mangiamo, perché questo materiale si concentra nell’intestino e il pesce, nella maggior parte dei casi, lo consumiamo eviscerato: questo, ovviamente, non dovrebbe farci sottovalutare l’allarme, anche in considerazione del fatto che la comunità scientifica sta ancora valutando gli effetti delle microplastiche nel nostro organismo.

Vediamo prima di tutto i dati: stando ad un’indagine riportata su Environmental Science and Technology, tramite il nostro regime alimentare (dato che le creature che consumiamo involontariamente le contengono anch’esse), si stima che ogni anno ingeriamo circa 50.000 particelle microscopiche di materiale plastico. Questo valore sembra crescere con il consumo eccessivo di acqua in bottiglia, che può contenere fino a 22 volte più microplastiche rispetto all’acqua di rubinetto. È importante considerare, tra le altre cose, che noi italiani siamo fra i principali consumatori di acqua in bottiglia a livello globale.

Gli studi sono tuttora in corso, ma sembra che la presenza di microplastiche nel nostro organismo possa avere effetti potenzialmente deleteri soprattutto sul funzionamento del nostro sistema endocrino. Nel merito di questa questione così delicata si è espressa anche Denise Hardesty, una scienziata ricercatrice che studia i rifiuti plastici presso la Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization in Australia, e che a proposito ha dichiarato:

Sì può individuare una correlazione, ma è difficile trovare un rapporto di causa-effetto, considerando il gran numero di sostanze chimiche a cui siamo esposti quotidianamente.

Il problema però è anche un altro: la quantità di plastica che produciamo è destinata a triplicare da qui al 2050, e secondo Janice Brahney, esperta di biochimica presso la Utah State University, “Si tratta di un dato allarmante perché ci troviamo immersi in questo problema, e ancora non ne comprendiamo le conseguenze, e sarà molto difficile fare marcia indietro in caso di necessità”.

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Alberto Muraro

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