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L’acqua che non c’è più: viaggio nei fiumi prosciugati d’Italia

fiumi prosciugati in Italia
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Un patrimonio in pericolo: i fiumi italiani rischiano di scomparire, portando con sé biodiversità, paesaggi e comunità. È urgente agire per salvarli e rigenerare i territori.

In Italia, sempre più fiumi restano in secca per mesi, specialmente nelle stagioni più calde. È un fenomeno silenzioso ma evidente, che riguarda in particolare le aree interne e pedemontane, dove i corsi d’acqua si sono sempre alimentati di piogge regolari, neve invernale e sorgenti montane. Oggi, invece, le loro portate si interrompono per lunghi periodi, fino a scomparire del tutto. I fiumi appenninici si prosciugano, e con essi scompaiono interi ecosistemi, funzioni ambientali vitali e riferimenti paesaggistici radicati nel territorio.

Le cause sono molteplici: siccità prolungate, prelievi intensivi, alterazioni idromorfologiche e un cambiamento climatico che rende i corsi d’acqua più fragili, discontinui e incapaci di assolvere alle loro funzioni naturali. Il risultato è una crisi idrica diffusa, che colpisce non solo le risorse idriche ma anche la qualità dei paesaggi, la biodiversità e la sicurezza dei territori.

Oggi i fiumi che si prosciugano non sono più un’eccezione, ma un segnale. Un segnale che l’acqua non c’è più come prima, e che il suo rapporto con il territorio va ripensato, prima che diventi un’assenza irreversibile.

I fiumi scomparsi: una mappa della crisi idrica invisibile

In Italia, sempre più corsi d’acqua si trasformano in fiumi intermittenti, ossia fiumi che non scorrono più per tutto l’anno, ma alternano fasi di portata a lunghi periodi di secca, specialmente in primavera ed estate. Si parla di prosciugamento stagionale, un fenomeno che un tempo riguardava solo ambienti semi-aridi e che oggi si manifesta anche in bacini alpini e appenninici, dove l’acqua scorreva con regolarità. Come confermato dai nuovi dati dell’Osservatorio Città Clima, negli ultimi due anni in Italia sono stati colpiti da siccità 21 fiumi e 10 laghi.

Secondo l’Atlante dei Dati Ambientali di ISPRA (2023), l’aumento dei periodi di assenza di deflusso nei bacini fluviali è correlato a una serie di fattori: calo delle precipitazioni, aumento delle temperature, impermeabilizzazione del suolo e forte pressione antropica sulle risorse idriche. l’Italia è tra i paesi europei più vulnerabili in termini di disponibilità idrica, con un netto aumento di bacini a regime intermittente osservato negli ultimi 20 anni.

A farne le spese non è solo il Po, simbolo nazionale della siccità in Italia, ma anche una moltitudine di fiumi minori, spesso dimenticati, che attraversano le aree pedemontane e interne: torrenti, rii, affluenti che si prosciugano senza far notizia, ma la cui assenza si riflette su falde, coltivazioni, ecosistemi e paesaggi. La Fondazione CMCC ha realizzato l’Atlante del Rischio Climatico del G20 (Climate Risk Atlas), una raccolta di 20 schede-paese con mappe e infografiche che offrono una panoramica chiara e aggiornata sui rischi climatici, gli impatti ambientali e le conseguenze economiche e sociali del cambiamento climatico. Il progetto è stato sviluppato con il sostegno della European Climate Foundation e il contributo scientifico della Enel Foundation.

L’atlante riassume le principali evidenze scientifiche sugli effetti previsti del cambiamento climatico nei prossimi decenni nei paesi più industrializzati del mondo. Le informazioni sono il risultato di modelli climatici, analisi di dati e indicatori, e si basano su una vasta rassegna della letteratura scientifica più recente, che include articoli peer-reviewed, report tecnici e materiali open-access provenienti da progetti europei finanziati nell’ambito del programma Horizon 2020.

I dati raccolti dagli studi del Climate Risk Atlas per l’Italia e altri studi scientifici come il rapporto Drought in Europe di Copernicus e osservatori regionali mostrano una mappa allarmante delle zone più colpite: ci si interroga ad esempio su quali fiumi sono prosciugati in Calabria, tra gli affluenti dell’Ancinale e del Tacina ridotti a canali asciutti per mesi. In Toscana, fiumi come l’Ombrone e il Merse sono spesso in secca già in primavera. In Molise si registrano fenomeni gravi nei bacini del Biferno e del Volturno, mentre in Sicilia il letto del Simeto diventa sempre più spesso una distesa di sabbia. Anche i torrenti dell’Appennino centrale – dal Tronto all’Aterno – vivono condizioni di secca estrema, aggravata da captazioni e cementificazioni.

In generale, emergono come zone più colpite le seguenti:

  • Valle del Po (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna): area principale interessata dalla siccità idrologica, con livelli di acqua nei fiumi molto ridotti e impatti significativi sull’agricoltura e sull’energia idroelettrica.
  • Alpi e Prealpi: diminuzione dei flussi a causa della riduzione delle precipitazioni e dello scioglimento anticipato della neve.
  • Appennino settentrionale e centrale: zone montuose dove la diminuzione delle riserve idriche compromette l’alimentazione dei fiumi.
  • Regioni del Centro Italia (Toscana, Umbria, Marche): soffrono una riduzione delle portate fluviali e un deficit di acqua nel suolo che impatta sull’agricoltura e sugli ecosistemi fluviali.
  • Sud Italia (Puglia, Calabria, Sicilia): la siccità si manifesta soprattutto con bassi livelli dei fiumi e dei bacini idrici, con rischi per l’approvvigionamento idrico e la produzione agricola.

Questi corsi d’acqua in secca non rappresentano più eccezioni, ma tracciano una nuova geografia dell’acqua in Italia: una crisi idrica invisibile perché diffusa, graduale e sottovalutata. Un cambiamento profondo che richiede nuove modalità di monitoraggio, gestione e cura, per non perdere definitivamente la presenza vitale dei fiumi nei nostri territori.

5 corsi d’acqua che rischiano di sparire ogni estate

 L’Italia sta vivendo un’emergenza idrica sempre più grave, con molteplici fiumi e torrenti che, ogni estate, vedono ridursi drasticamente il loro flusso fino a prosciugarsi in alcune tratte. Vediamo quali sono le aree più impattate.

1. Fiume Ofanto (Puglia, Basilicata)

Il fiume Ofanto, che attraversa la Puglia e la Basilicata, è tra i corsi d’acqua più colpiti dalla siccità estiva, con tratti del letto completamente asciutti soprattutto tra giugno e agosto. Questo fenomeno è causato da una combinazione di mancate precipitazioni, elevato sfruttamento agricolo e consumo idrico crescente. La situazione provoca gravi conflitti per l’accesso all’acqua tra agricoltori e comunità locali, oltre a contribuire alla desertificazione delle aree circostanti. L’impatto ambientale si traduce in una riduzione significativa della biodiversità e nella perdita di habitat per numerose specie acquatiche e terrestri.

2. Torrente Baganza (Emilia-Romagna)

Il Torrente Baganza, che scorre nella provincia di Parma, è noto come “fiume fantasma” durante l’estate, quando si osserva una secca totale in diverse sue tratte. Questa assenza d’acqua è il risultato della combinazione di ridotti afflussi naturali e forti prelievi idrici per uso urbano e agricolo. L’ecosistema fluviale risente pesantemente di questa condizione, con gravi conseguenze per la fauna ittica e per gli equilibri idrici della città di Parma, che dipende da queste acque per la fornitura idrica.

3. Fiume Liri (Lazio, Abruzzo)

Il fiume Liri, che attraversa Lazio e Abruzzo, è fortemente regolato tramite dighe e impianti idroelettrici, che contribuiscono spesso alla sua secca a monte soprattutto in estate. A questo si aggiungono i prelievi per l’irrigazione agricola, che riducono ulteriormente il flusso d’acqua. La gestione delle acque del Liri ha quindi un impatto diretto sia sull’ambiente fluviale sia sulle comunità che ne dipendono, con ricadute sul turismo, sull’agricoltura e sulla biodiversità locale.

4. Fiume Simeto (Sicilia)

Il Simeto, il fiume più ampio della Sicilia, mostra una drastica riduzione del flusso nei mesi estivi, mettendo a rischio sia la biodiversità che le attività agricole tradizionali che dipendono dalle sue acque. La siccità estiva è aggravata dalla scarsa piovosità e da un uso intensivo dell’acqua per l’irrigazione, che incidono sulla capacità del fiume di sostenere gli ecosistemi fluviali e le comunità locali. Le minacce principali riguardano quindi la perdita di habitat per specie autoctone e la crisi dell’agricoltura tradizionale siciliana.

5. Fiume Magra (Liguria, Toscana)

Il fiume Magra, che scorre tra Liguria e Toscana, ha subito una riduzione consistente della portata idrica, fenomeno che ha favorito l’ingressione salina nelle aree del delta e la crisi dell’ecosistema fluviale. Questa condizione mette a rischio la qualità dell’acqua potabile e gli equilibri ambientali delle zone costiere, con impatti negativi sia per la fauna sia per le comunità umane che utilizzano le sue acque. La riduzione dei flussi è dovuta a siccità prolungata e a prelievi idrici non sostenibili.

Tabella – Portata media estiva 2000–2024 (5 fiumi selezionati)

Fonte: ARPA regionali, ISPRA, ANBI

FiumeMedia 2000–2005Media 2019–2024Variazione (%)
Ofanto5,2 m³/s2,1 m³/s−59,6%
Baganza1,9 m³/s0,3 m³/s−84,2%
Liri16,8 m³/s10,4 m³/s−38,1%
Simeto28,6 m³/s13,9 m³/s−51,4%
Magra32,3 m³/s18,7 m³/s−42,1%

Le cause della crisi fluviale italiana

fiumi in secca

 La crisi che colpisce i fiumi italiani è il risultato di molteplici fattori che agiscono in sinergia, aggravando la già fragile situazione delle risorse idriche nel nostro paese. Al centro del problema c’è innanzitutto la siccità sempre più intensa e frequente, causata dal cambiamento climatico, che ha portato a una drastica riduzione delle precipitazioni e delle nevicate sulle montagne, fondamentali per alimentare i corsi d’acqua durante l’estate. In più, l’aumento delle temperature determina una maggiore evaporazione dell’acqua, riducendo ulteriormente la disponibilità idrica.

Un’altra causa rilevante sono i prelievi eccessivi d’acqua, soprattutto per l’irrigazione agricola. In molte regioni, la coltivazione di specie particolarmente idrovore — come mais, riso e ortaggi — richiede grandi quantità d’acqua, spesso prelevata in modo intensivo e non sempre sostenibile. Questa pratica riduce drasticamente i volumi d’acqua nei fiumi, soprattutto nei mesi estivi, quando la domanda è più alta.

L’impatto delle infrastrutture idroelettriche e delle dighe è altrettanto significativo. Queste opere interrompono la continuità naturale dei corsi d’acqua, alterando i regimi idrologici e limitando il flusso di sedimenti e nutrienti. Inoltre, la regolazione artificiale delle portate può causare periodi di secca artificiale a valle, compromettendo gli ecosistemi fluviali.

Infine, l’urbanizzazione crescente contribuisce a peggiorare la situazione. L’espansione delle aree impermeabilizzate (strade, edifici, parcheggi) riduce l’infiltrazione naturale dell’acqua nel terreno e distrugge molte sorgenti e corsi d’acqua minori, importanti per il mantenimento dell’equilibrio idrico locale. Questo fenomeno incrementa il deflusso rapido e superficiale delle acque, favorendo allagamenti improvvisi ma lasciando a secco i fiumi nei periodi di siccità.

In sintesi, la crisi fluviale italiana è una complessa combinazione di fattori climatici, antropici e infrastrutturali, che richiede interventi coordinati e sostenibili per tutelare le risorse idriche e gli ecosistemi legati all’acqua.

Le conseguenze ecologiche e territoriali

La crisi fluviale in Italia produce impatti profondi e duraturi sugli ecosistemi naturali e sulle comunità che vivono e lavorano lungo i corsi d’acqua. Tra le conseguenze più gravi si annovera la perdita di habitat acquatici e zone umide, fondamentali per la biodiversità e per il corretto funzionamento degli ecosistemi. I fiumi in secca riducono drasticamente la disponibilità di acqua per piante e animali, causando un progressivo degrado ambientale.

Questo stress si ripercuote in particolare sulla fauna ittica e sugli anfibi, specie fortemente dipendenti da habitat umidi stabili. La diminuzione dei volumi d’acqua rende difficile la sopravvivenza di molte specie, compromettendo la riproduzione e causando spesso la diminuzione o la scomparsa locale di popolazioni autoctone.

Un’altra conseguenza importante è la maggiore vulnerabilità ai incendi boschivi, che trovano terreno fertile in condizioni di siccità prolungata e vegetazione secca. Questo fenomeno è particolarmente preoccupante nelle aree collinari e montane, dove gli incendi possono compromettere estesi territori forestali e mettere a rischio anche insediamenti umani.

Sul piano socio-economico, la crisi idrica genera difficoltà per l’agricoltura tradizionale, che dipende fortemente dall’irrigazione, ma anche per il turismo fluviale e lacustre, che subisce danni diretti dalla diminuzione della qualità e quantità d’acqua. L’approvvigionamento idrico delle comunità locali è spesso compromesso, con conseguenti razionamenti e problemi di accesso all’acqua potabile.

Un esempio concreto è rappresentato da molti comuni situati a valle di fiumi in secca, dove l’acqua viene razionata durante i mesi estivi, con un impatto significativo sulla vita quotidiana dei cittadini e sulle attività produttive.

In sintesi, la crisi fluviale italiana non è solo un’emergenza ambientale, ma anche un problema sociale ed economico che richiede interventi urgenti per preservare gli equilibri territoriali e garantire una gestione sostenibile delle risorse idriche.

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Cosa si può fare per salvare i fiumi prosciugati

Per affrontare la crisi dei fiumi prosciugati in Italia è fondamentale intervenire su più fronti, adottando soluzioni sostenibili e innovative che permettano di ridurre l’impatto umano e migliorare la resilienza degli ecosistemi fluviali.

Un primo passo cruciale è ridurre i prelievi d’acqua, specialmente in agricoltura, attraverso l’efficientamento delle risorse idriche. Questo può avvenire tramite l’adozione di tecniche di irrigazione smart, che utilizzano sistemi di monitoraggio e gestione dell’acqua in tempo reale per limitare gli sprechi. Inoltre, è importante promuovere il recupero e il riutilizzo delle acque grigie, ossia quelle derivanti da lavaggi domestici e industriali, opportunamente trattate per usi agricoli o urbani non potabili.

Un altro aspetto fondamentale è il ripristino della continuità ecologica dei fiumi, eliminando ostacoli come dighe obsolete o sbarramenti che interrompono il flusso naturale dell’acqua e impediscono la migrazione della fauna acquatica. La creazione di corridoi fluviali e l’adozione di misure per il recupero degli habitat naturali favoriscono il riequilibrio degli ecosistemi e migliorano la capacità dei fiumi di adattarsi alle variazioni climatiche.

In ambito europeo, esistono programmi e direttive che guidano e supportano questi interventi. Tra i più importanti:

  • Water Framework Directive (Direttiva Quadro sulle Acque): istituisce un quadro normativo per la protezione e la gestione sostenibile delle risorse idriche in Europa, puntando a raggiungere “buono stato ecologico” di fiumi, laghi e acque sotterranee.
  • Programmi LIFE: finanziati dall’Unione Europea, supportano progetti innovativi di conservazione della natura e azioni ambientali, compresi interventi per la tutela e il ripristino degli ecosistemi fluviali.

Infine, è necessaria una governance integrata del bacino idrografico, che coinvolga tutti gli attori interessati — istituzioni, agricoltori, comunità locali, associazioni ambientaliste — per promuovere una gestione coordinata, integrata e resiliente dei fiumi. Serve una nuova politica dei fiumi, capace di combinare tutela ambientale, sviluppo sostenibile e adattamento climatico, e in questo il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica è un buon inizio.

A livello nazionale, alcune buone pratiche sono già attive, come il Parco del Taro in Emilia-Romagna, un’area protetta che tutela un importante ecosistema fluviale, e i Contratti di Fiume, strumenti di pianificazione partecipata che coinvolgono vari soggetti per la gestione integrata dei corsi d’acqua.

 Strategie per rigenerare i fiumi:

  • Limitare nuove captazioni nei mesi estivi: bloccare nuovi prelievi nei periodi più caldi aiuta a mantenere un flusso minimo vitale e a proteggere gli ecosistemi.
  • Incentivare agroforestazione lungo le rive: più alberi e siepi sulle sponde rafforzano gli argini, riducono l’evaporazione e aumentano la biodiversità.
  • Creare invasi multifunzione per laminazione e microstoccaggio: piccoli bacini possono trattenere le piene e fornire acqua nei periodi di siccità, senza impattare sul flusso naturale.
  • Monitorare e pubblicare i dati di portata in tempo reale: conoscere in modo trasparente i livelli dei fiumi consente interventi tempestivi e una gestione più partecipata.
  • Educazione territoriale nelle scuole e nei festival locali: coinvolgere studenti e comunità aiuta a creare consapevolezza e cura diffusa per i corsi d’acqua.

In sintesi

L’Italia è una terra di fiumi brevi, fragili e spesso dimenticati. Ma quando un fiume si prosciuga, si spezza ogni connessione: con l’acqua, con il paesaggio, con la vita stessa. Rigenerare i fiumi è l’unico modo per rigenerare davvero i territori.



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Rosaria De Benedictis

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