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Con la crisi climatica aumenta la fame nel mondo

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Negoziati al palo alla Cop28. Ma per i Paesi più fragili il tempo è scaduto: il cambiamento climatico mette a rischio la sicurezza alimentare.

Alla Cop 28 a Dubai, per definire la dichiarazione sul Global Stocktake, il bilancio su quanto stato fatto finora per contrastare il cambiamento climatico e quanto resta ancora da fare, c’è tempo fino al 12 dicembre. Chissà se basterà per trovare una sintesi tra i pareri discordanti dei 197 Paesi, più l’Unione europea, che stanno partecipando alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Per ora, sulla riduzione dei combustibili fossili o la loro graduale eliminazione, non si trova la quadra; e molti Paesi in via di sviluppo sottolineano il principio delle responsabilità comuni ma differenziate e chiedono maggiori finanziamenti per la transizione energetica, l’adattamento, le perdite e i danni.

Il servizio europeo Copernicus Climate Change conferma che il 2023 è stato l’anno più caldo da quando sono cominciate le misurazioni della temperatura del pianeta: la temperatura media globale ha superato di 1,46 C° quella del periodo preindustriale. Per alcuni, il tempo è già scaduto: ossia per i territori e le comunità più fragili, i più colpiti dalle conseguenze del riscaldamento globale. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha sottolineato l’amplificazione delle condizioni di vulnerabilità in cui versano milioni di persone, evidenziando come i combustibili fossili siano alla base della crisi climatica. Mentre Simon Stiell, a capo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), ha dichiarato che “se vogliamo salvare vite umane adesso e mantenere l’obiettivo di 1,5 C° a portata di mano, i risultati della Cop più ambiziosi devono rimanere al centro dell’attenzione. Alla fine della prossima settimana, abbiamo bisogno che la Cop consegni un treno ad alta velocità per accelerare l’azione per il clima. Al momento abbiamo un vecchio vagone che sbuffa su binari traballanti, ma gli strumenti sono tutti sul tavolo. Le tecnologie e le soluzioni esistono. È l’ora che i governi e i negoziatori le raccolgano e le facciano funzionare”.

Il cambiamento climatico minaccia anche la sicurezza alimentare 

Il cambiamento climatico mette a rischio anche la sicurezza alimentare. La fame nel mondo aumenta. C’è un indice che la misura: il Global Hunger Index (Indice Globale della Fame) – redatto dalle ong Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, parte del network europeo Alliance 2015, e curato per l’edizione italiana da Cesvi – che delinea un quadro davvero preoccupante. Nel 2023 circa 735 milioni di persone sono malnutrite. Erano 572 milioni nel 2017. La malnutrizione avanza con i cambiamenti climatici e le loro pesanti conseguenze sui territori – crescita delle temperature, siccità, inondazioni e altri eventi estremi – a cui si sommano quelle di guerre e conflitti, nonché della recessione economica. E le principali vittime a livello globale sono i giovani, ragazze in primis, le cui prospettive di futuro sono sempre più minacciate. A tal punto da chiedersi quanto senso abbia parlare ancora di diritto al cibo.

Insicurezza alimentare: chi sono i più colpiti

Secondo le stime del World Food Program, l’80% delle persone che soffrono la fame vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. Per definire l’impatto combinato del mutamento climatico con guerre, crisi economiche e pandemie, che accrescano le disuguaglianze sociali ed economiche e hanno fermato o rallentato i passi avanti fatti in precedenza, si parla di “policrisi”. “Nel 2023 la situazione climatica è in peggioramento e l’accesso al cibo resta precluso a molti; le zone meno resilienti soffriranno contraccolpi su fame e nutrizione, ritrovandosi meno preparate ad affrontare future crisi”, sottolinea Valeria Emmi di CESVI. “Purtroppo, i dati indicano che nei prossimi 6 mesi l’insicurezza alimentare acuta rischia di peggiorare in almeno 18 aree ad alto rischio – aggiunge Maurizio Martina, vice direttore generale della FAO – Insieme alla Palestina, sono il Burkina Faso, il Mali, il Sud Sudan le frontiere di massima preoccupazione, dove il rischio di morire di fame o di un deterioramento rapido verso condizioni catastrofiche è altissimo. Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Haiti, Pakistan, Somalia, Siria, Yemen sono anch’esse realtà preoccupanti. La prospettiva non è incoraggiante, ma è necessaria per poter comprendere che occorre agire con urgenza”.

E tra i messaggi forti che emergono dal rapporto, c’è la necessità che i governi coinvolgano in modo significativo i giovani, investendo nella loro capacità di intervenire sui sistemi alimentari e garantendo che i sistemi alimentari offrano loro mezzi di sussistenza interessanti. Perché i dati purtroppo parlano chiaro: allo stato attuale ragazze e ragazzi erediteranno sistemi insostenibili, iniqui, non inclusivi e sempre più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico. Ad aver di fronte lo scenario più buio sono in particolare donne e bambine, che rappresentano circa il 60% delle vittime della fame acuta. Inoltre, gli under 25 colpiti da insicurezza alimentare sono in crescita: rappresentano il 16% della popolazione globale e vivono, in gran parte, in Paesi a basso e medio reddito di Asia meridionale, Asia orientale e Africa.

Gli indicatori per valutare l’incidenza della fame sono quattro:

  • denutrizione;
  • deperimento infantile;
  • arresto della crescita infantile;
  • mortalità dei bambini sotto i cinque anni.

Solo in sette Paesi, dal 2015 ad oggi, si rileva un miglioramento superiore al 5%: Bangladesh, Ciad, Gibuti, Mozambico, Nepal, Laos e Timor Est. Per il resto, nell’anno in corso, in nove Paesi la fame è allarmante: Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen. In altri 34 Paesi è grave. In 18 nazioni dal 2015 la fame è aumentata (situazioni moderate, gravi o allarmanti) e in altri 14 il calo è stato trascurabile (inferiore al 5%). Al ritmo attuale, in 58 Paesi non sarà possibile raggiungere un livello di fame basso entro il 2030.

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