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Corte di Strasburgo: l’Italia mette a rischio chi vive nella Terra dei fuochi

Terra dei fuochi
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Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Italia ha messo a rischio chi vive nella Terra dei fuochi. Lentezza, mancanza di fermezza e di pene deterrenti: lo Stato non ha agito con la “necessaria diligenza” per proteggere i cittadini dall’interramento e i roghi di rifiuti tossici. Un fenomeno non ancora debellato.

Lo Stato italiano non ha fatto tutto ciò che avrebbe dovuto per proteggere la vita dei residenti della Terra dei Fuochi, violando l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quello sul diritto alla vita. È la sentenza emessa il 30 gennaio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso denominato “Cannavacciuolo e altri contro l’Italia”, quattro ricorsi presentati da cittadini residenti nelle province di Caserta e di Napoli, relativi alle conseguenze sulla salute degli scarichi illegali e dei roghi di rifiuti su vasta scala in numerosi comuni dell’area portati avanti per decenni dalla criminalità organizzata. Ora l’Italia ha due anni per introdurre misure che risolvano l’emergenza in un territorio dove l’impennata di malattie gravi e decessi è stata confermata anche da studi scientifici ufficiali.

“L’attenzione del governo sulla nota e triste vicenda della Terra dei Fuochi è costante”, ha dichiarato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto durante il question time alla Camera del 5 febbraio. Il Mase “sta costantemente monitorando le azioni di bonifica attuate dalla Regione Campania e ha portato avanti le indagini tecniche per la mappatura dei terreni, individuando le aree che non possono essere destinate alla produzione agroalimentare”, ha aggiunto il ministro.

I primi ricorsi, presentati nel 2014

I ricorsi erano stati presentati alla Corte europea dei diritti dell’uomo in varie date tra il 28 aprile 2014 e il 15 aprile 2015. Tutti i ricorrenti hanno sostenuto di aver subito, direttamente o indirettamente, gli effetti dello smaltimento illegale dei rifiuti e che il problema era noto alle istituzioni da molto tempo. In particolare, hanno sostenuto che le autorità italiane erano a conoscenza dello scarico illegale, dell’interramento e dell’incenerimento di rifiuti pericolosi nei pressi delle loro abitazioni, ma non avevano adottato alcuna misura per proteggerli e non avevano fornito loro alcuna informazione al riguardo.

Nessuna risposta sistematica a fronte di un rischio per la vita imminente e grave

Nel complesso, la Corte ha ritenuto che le istituzioni italiane non abbiano affrontato il problema “con la diligenza richiesta dalla gravità della situazione”. I giudici hanno riconosciuto un rischio di morte “sufficientemente grave, reale e accertabile”, che può essere qualificato come “imminente”; ritengono inoltre che non ci siano prove sufficienti di una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità nell’affrontare la situazione della Terra dei fuochi. La Corte ha stabilito all’unanimità che l’Italia deve elaborare una strategia globale per porre rimedio alla situazione dell’area, istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente e creare una piattaforma di informazione pubblica.

Le conclusioni delle Commissioni parlamentari d’inchiesta

Sulle pratiche di gestione illegale dei rifiuti nella Terra dei fuochi – che interessa 90 comuni campani, per una popolazione di circa 2,9 milioni di abitanti – sono state istituite sette commissioni parlamentari d’inchiesta, dalle cui conclusioni emerge che sono state portate nella zona notevoli quantità di rifiuti da tutta Italia e che lo Stato era a conoscenza del problema dal 1988.

La Cedu riporta che la contaminazione da diossina riguardava un’area considerevole e che, in particolare nei dintorni di Villa Literno, sono state riscontrate concentrazioni eccezionali di metalli pesanti. Il suolo è stato colpito da un “avvelenamento persistente”. In materia di salute, è stato rilevato nell’area un forte aumento dei tassi di cancro. Rapporti italiani e internazionali, pubblicati tra l’altro da The Lancet Oncology, Epidemiologia & Prevenzione, dal Senato italiano e dall’Organizzazione mondiale della sanità, hanno confermato che i risultati sanitari nella regione si discostano dagli standard italiani.

Le commissioni parlamentari hanno evidenziato i problemi legali legati alla gestione dell’inquinamento, tra cui la natura “praticamente inesistente” delle misure deterrenti, la mancanza della “necessaria fermezza” nella risposta dello Stato, la quasi impossibilità di ottenere condanne per reati ambientali e i brevi termini di prescrizione; hanno criticato i piani di bonifica e i lunghi ritardi nell’agire.

La decisione della Corte

In conformità al “principio di precauzione” e in considerazione del tempo trascorso dalla scoperta del problema dell’inquinamento, la Corte ha ritenuto che lo Stato non potesse invocare l’impossibilità di determinare con precisione gli effetti che l’inquinamento avrebbe potuto avere sulla salute di un particolare richiedente per esimersi dal dovere di proteggere gli altri richiedenti. Ha ritenuto che non vi fossero prove sufficienti che le autorità avessero fornito una risposta sistematica, coordinata e completa alla situazione della Terra dei Fuochi.

Rileva che i progressi nella valutazione degli effetti dell’inquinamento sono stati estremamente lenti, nonostante la necessità di rapidità. Visti i ritardi nella risposta delle istituzioni, la Corte ritiene che esse non abbiano esercitato la dovuta diligenza nel determinare gli effetti dell’inquinamento sulla salute. Inoltre, la Corte non è convinta che lo Stato abbia attuato le misure di giustizia penale necessarie per combattere lo smaltimento illegale di rifiuti nella Terra dei Fuochi. Il governo ha fornito solo sette esempi di condanne per reati ambientali che, a suo avviso, erano collegate alla questione.

Data la durata della crisi, la Corte ritiene impossibile farsi un’idea complessiva della situazione sulla base di queste sole prove. Sottolineando la lentezza delle istituzioni nell’affrontare le carenze sistemiche della gestione dei rifiuti in Campania, aggiunge anche che data la portata, la complessità e la gravità della situazione, sarebbe stata necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile per informare la cittadinanza sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle misure adottate per affrontarli. Questa strategia non è stata messa in atto. Anzi, alcune informazioni sono state coperte dal segreto di Stato per un lungo periodo.

I fuochi non si fermano: la denuncia delle Cgil di Caserta

Il ministro Pichetto nel corso del question time alla Camera ha evidenziato che “il Prefetto di Napoli ha avviato un primo confronto tra le amministrazioni con l’ipotesi di arricchire il quadro degli strumenti attualmente a disposizione del modello elaborato a livello nazionale dalla task force del Commissario Straordinario Giuseppe Vadalà, riconosciuto come una best practice in materia”. Ma nella Terra dei fuochi i roghi non si fermano.

Come denuncia la Cgil di Caserta. “Nelle campagne di Acerra, Caivano e Orta di Atella si continuano a scaricare tonnellate di rifiuti tossici e i roghi illuminano ancora le notti”, scrive il 7 febbraio. “Così, i comitati di cittadini, le associazioni ambientaliste e la Cgil, non possono fare altro che rilanciare la loro lotta per la salute e la legalità di tutti. Accogliamo la sentenza con favore, perché dopo vent’anni ci dice che avevamo ragione e richiama l’attenzione dei media. Ma ora le istituzioni agiscano in fretta per salvare la nostra terra”. 

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