Tra parchi urbani e sostenibilità, la rigenerazione delle città italiane può migliorare la qualità della vita, ma solo se evita il rischio di espellere chi le abita da sempre.
Piste ciclabili nuove di zecca, filari alberati che restituiscono ombra e frescura, parchi urbani dove un tempo c’era solo asfalto: la rigenerazione verde delle città è ormai una parola d’ordine imprescindibile per affrontare le sfide del cambiamento climatico.
Ma cosa succede quando questi interventi, pensati per migliorare la qualità della vita, finiscono per spingere fuori le persone che quella città la abitavano da decenni? È il paradosso della green gentrification: l’effetto collaterale per cui la riqualificazione ambientale dei quartieri, anziché creare inclusione e resilienza, alimenta disuguaglianze sociali ed economiche, facendo aumentare i prezzi delle case, espellendo gli inquilini a basso reddito e modificando la composizione sociale dei territori.
Eppure, come dimostrano esperienze internazionali e alcune buone pratiche locali, un’alternativa inclusiva è possibile. Ma serve visione, pianificazione e soprattutto un approccio politico che metta l’equità al centro della transizione ecologica.
Cos’è la green gentrification (e perché se ne parla sempre di più)

La green gentrification è la versione ecologista di un fenomeno urbano ben noto: la gentrificazione, ovvero la trasformazione di quartieri popolari in aree di pregio, con conseguente aumento dei prezzi immobiliari e espulsione delle fasce più fragili. In questo caso, però, il motore non sono solo caffè di design o boutique alla moda, ma interventi ambientali: piste ciclabili, parchi urbani, aree pedonali, progetti di forestazione. Operazioni pensate per migliorare il benessere collettivo, che però finiscono per innescare dinamiche escludenti.
A differenza della gentrificazione classica, che ruota intorno a fattori culturali ed estetici, la versione “green” si fonda su azioni di sostenibilità urbana. Eppure l’esito può essere lo stesso: abitanti storici costretti ad andarsene perché i prezzi crescono troppo e i nuovi servizi sono calibrati su target più abbienti. È accaduto con la High Line di New York, dove il recupero di una ferrovia sopraelevata ha trasformato il quartiere circostante in un’area di lusso, e accade in molte città europee, dove la retorica verde coincide con dinamiche di esclusione. È il cosiddetto “ambientalismo escludente” (exclusionary environmentalism): quando la transizione ecologica si fa vetrina per chi può permettersela, dimenticando chi avrebbe più bisogno di spazi verdi, aria pulita, ombra e benessere climatico.
In Italia, dove le aree verdi sono distribuite in modo diseguale tra centro e periferia, il fenomeno si intreccia con dinamiche urbane già fortemente polarizzate: città come Milano, Bologna e Firenze assistono a una corsa all’oro immobiliare che vede nei progetti “green” un moltiplicatore del valore fondiario.
- I parchi urbani diventano attrattori di capitali e non strumenti di giustizia ambientale;
- i viali alberati aumentano il comfort climatico, ma anche gli affitti;
- le aree riqualificate diventano lussuose, ma inaccessibili.
In questo scenario, il verde non è più un diritto, ma un lusso urbano. I casi più emblematici si trovano a Milano e Torino, dove quartieri limitrofi a nuovi parchi urbani hanno visto rincari fino al +35% dei prezzi delle abitazioni.
Numerosi studi mostrano una correlazione diretta tra accesso al verde e valore immobiliare: secondo le medie italiane, una casa a 100 metri da un parco vale fino all’11% in più. Il rischio? Che i benefici ambientali diventino privilegio, generando sostituzione sociale dei residenti storici e peggiorando le disuguaglianze urbane.
Per questo oggi si parla sempre di più di diritto alla città, equità ecologica e giustizia ambientale. Verde e sostenibilità non possono essere riservati a pochi: servono strumenti di pianificazione urbana inclusivi, capaci di governare i cambiamenti, proteggere i residenti più vulnerabili e garantire accesso equo ai servizi ambientali.
I dati: quanto aumentano i prezzi nei quartieri “verdi”
Il legame tra interventi di riqualificazione ambientale e aumento dei prezzi immobiliari è ormai ben documentato. A ogni nuovo parco urbano, pista ciclabile o area verde rigenerata, segue spesso una crescita sensibile del valore al metro quadro, con effetti diretti sulla disponibilità di case in affitto e sulla permanenza dei residenti storici. L’effetto “verde”, insomma, è misurabile. E lo confermano le analisi condotte da Nomisma, Urbanpromo e OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate).
A Milano, ad esempio, il progetto della Biblioteca degli Alberi, che ha trasformato l’area intorno a Porta Nuova in un nuovo polmone urbano, ha generato un incremento dei prezzi immobiliari del 34% tra il 2014 e il 2020. A Torino, nella zona di Parco Dora, la crescita è stata del 28% tra il 2012 e il 2019, mentre a Bologna l’intervento sulla pista ciclopedonale del Navile ha determinato un +21% in soli sette anni. Anche Firenze registra variazioni significative, con un +18% nell’area di San Salvi, dopo la creazione del nuovo parco pubblico tra il 2017 e il 2023.
Questi dati mostrano una dinamica chiara: il verde fa salire i valori immobiliari, spesso ben oltre la media della città. Il fenomeno è alimentato anche da un intenso marketing territoriale, che racconta questi quartieri come “modelli di vivibilità sostenibile”, alimentando l’interesse di investitori e nuovi residenti con maggiore disponibilità economica.
Tabella – Aumento dei valori immobiliari dopo interventi verdi
Fonte: Nomisma, Urban@it, Osservatorio OMI
Città | Intervento “verde” | Anno | Δ valore €/mq (%) |
Milano | Biblioteca degli Alberi | 2014–20 | +34% |
Torino | Parco Dora | 2012–19 | +28% |
Bologna | Pista ciclopedonale Navile | 2015–22 | +21% |
Firenze | Nuovo Parco San Salvi | 2017–23 | +18% |
Chi resta e chi se ne va: le dinamiche sociali post-rigenerazione
Quando un quartiere viene rigenerato attraverso interventi di verde urbano, infrastrutture leggere e nuove polarità culturali, le conseguenze non sono solo estetiche o ambientali. Cambia anche il volto della comunità. I nuovi spazi attraggono investimenti, trasformano la reputazione del quartiere, modificano le aspettative immobiliari, ma al tempo stesso incidono sulla composizione sociodemografica dei residenti.
In molti casi si osserva una progressiva diminuzione della popolazione anziana, dei lavoratori a basso reddito e delle famiglie migranti, storicamente radicate nei quartieri periferici o semi-periferici. A prendere il loro posto sono spesso nuclei familiari con redditi medio-alti, professionisti digitali e giovani coppie alla ricerca di una qualità abitativa migliore in aree “emergenti”, ancora accessibili ma in rapido mutamento.
Questa trasformazione non è solo spontanea. L’aumento dei canoni d’affitto, l’apertura di nuove attività commerciali rivolte a target più alto, la chiusura di servizi popolari e l’omogeneizzazione dell’offerta urbana possono rendere la vita quotidiana sempre più difficile per le fasce vulnerabili. È il fenomeno definito “espulsione indiretta”: non c’è uno sfratto esplicito, ma l’innalzamento dei costi e la perdita di servizi accessibili rendono inevitabile il trasferimento.
Il verde, in questi casi, non è più solo uno spazio di inclusione, ma anche una leva di trasformazione selettiva. E la rigenerazione urbana rischia di diventare rigenerazione sociale per pochi, se non è accompagnata da politiche pubbliche di equità, calmierazione e tutela delle fragilità.
Le città italiane più a rischio (secondo urbanisti e dati)
La green gentrification sta interessando diversi quartieri italiani, dove interventi di riqualificazione urbana con focus ambientale hanno modificato i valori immobiliari e la composizione sociale.
- Milano: quartieri come Porta Nuova, Nolo e Adriano hanno visto un incremento dei prezzi legato alla creazione di nuovi spazi verdi e alla promozione della mobilità sostenibile, attirando residenti con redditi più elevati e cambiando il tessuto sociale originario.
- Torino: aree come San Salvario e Aurora sono state oggetto di riqualificazione urbana, con interventi che hanno portato a un aumento dei costi abitativi e a un cambiamento nella composizione sociale.
- Bologna: quartieri come Bolognina e Navile hanno visto trasformazioni significative, con progetti come la riqualificazione dell’ex Mercato Ortofrutticolo e l’allungamento delle piste ciclabili, che hanno avuto un impatto sul mercato immobiliare e sulla composizione demografica.
- Napoli: le aree di Sanità e Vergini sono state oggetto di interventi di riqualificazione, con progetti come il Progetto Territoriale Integrato per la riqualificazione dell’area Vergini-Sanità, che mirano a migliorare l’accessibilità e la qualità della vita, ma che potrebbero anche comportare rischi di gentrificazione.
Per mitigare gli effetti della green gentrification, alcune città italiane stanno adottando strumenti con l’obiettivo di garantire una rigenerazione urbana inclusiva e sostenibile.
- Piani urbanistici partecipati: coinvolgere i residenti nei processi decisionali per garantire che gli interventi rispondano alle loro esigenze e non portino all’espulsione dei residenti storici.
- Politiche di edilizia sociale: garantire la disponibilità di alloggi a prezzi accessibili per le fasce di popolazione a basso reddito.
- Regolamentazioni sugli affitti: introdurre misure per controllare l’aumento dei canoni di locazione e prevenire la gentrificazione.
- Sostegno alle attività commerciali locali: promuovere e sostenere le imprese locali per evitare la sostituzione con catene commerciali che potrebbero non rispondere alle esigenze della comunità.
Questi strumenti, se implementati correttamente, possono contribuire a una rigenerazione urbana che sia inclusiva e sostenibile.
MILANO: la città che la classe media non può più permettersi
Come evitare la green gentrification: modelli alternativi
La giustizia ambientale è un principio fondamentale per garantire che tutti, indipendentemente dalla loro condizione socio-economica, possano accedere a benefici legati all’ambiente urbano, come gli spazi verdi e la qualità della vita. Il concetto di “verde accessibile” si basa proprio su questa idea: il verde urbano deve essere progettato e gestito affinché sia fruibile da tutte le fasce di popolazione, evitando di generare esclusioni sociali o economiche.
Per perseguire questo obiettivo, sempre più città adottano modelli innovativi come i parchi di comunità e la gestione condivisa, dove i cittadini stessi partecipano attivamente alla cura e al mantenimento degli spazi verdi. Questi luoghi diventano così punti di aggregazione sociale e favoriscono il senso di appartenenza. Accanto a questo, è fondamentale integrare la presenza del verde con l’housing sociale integrato, un modello abitativo che mescola diverse tipologie di residenze sociali nello stesso quartiere, favorendo la convivenza tra persone con redditi e storie diverse. Include alloggi a canone calmierato e servizi condivisi, come spazi verdi e centri di aggregazione, per promuovere inclusione sociale e qualità della vita.
Questo approccio aiuta a evitare la segregazione e a contrastare l’esclusione, rendendo le città più eque e sostenibili. Sul piano urbanistico, strumenti come la perequazione urbanistica permettono di bilanciare i costi e i benefici degli interventi di rigenerazione, mentre l’housing calmierato consente la realizzazione di alloggi a canone sostenibile, garantendo un accesso equo alla casa. Le zone inclusive sono progettate per promuovere la convivenza tra diverse fasce sociali, favorendo una città più equilibrata e coesa.
Ecco alcuni esempi concreti di queste pratiche in Italia:
- Quartiere Adriano (Milano) – Progetto Lacittàintorno e Adriano Community Center. Nel quartiere Adriano–Via Padova, l’iniziativa Lacittàintorno promossa da Fondazione Cariplo, Comune di Milano e Politecnico di Milano ha trasformato una zona industriale dismessa in un hub urbano inclusivo. Tra le realizzazioni principali: il Community Food Hub nell’ex asilo nido di Largo Bigatti, centri culturali e aggregativi aperti alla comunità, orti urbani, laboratori artistici e culturali gestiti insieme ai cittadini. All’interno dell’Adriano Community Center, sono stati creati alloggi di social housing e residenze protette per anziani e disabili a canone calmierato, collegati a servizi sanitari, spazi culturali, un auditorium e una caffetteria di quartiere. La gestione partecipata è garantita da patti di collaborazione firmati tra associazioni locali e cittadini (come ViviAdriano e Real Crescenzago) e il Comune, per la cura condivisa di giardini e spazi pubblici.
- Gratosoglio Lab (Milano). Nel quartiere popolare di Gratosoglio, il laboratorio urbano partecipato Gratosoglio Lab è promosso da Comunità Oklahoma Onlus in partnership con Fondazione di Comunità Milano. Attraverso laboratori peer‑to‑peer, attività educative (cucina, hip‑hop, sport) e la partecipazione diretta dei ragazzi, si rafforza la coesione sociale e l’identità del quartiere, riducendo il rischio di esclusione sociale e potenziali fenomeni gentrificatori.
- Parco Giuseppe Lorusso (Torino). Il Parco G. Lorusso è un progetto urbano di riqualificazione ambientale a Torino, che integra spazi pubblici verdi con interventi di housing sociale. Il modello promuove l’accesso equo al verde, la progettazione condivisa e la tutela del tessuto sociale esistente.
Strategie urbane per rigenerare senza escludere:
- Coinvolgimento attivo dei residenti in fase di progettazione: ascoltare chi abita già il quartiere consente di evitare interventi imposti e poco aderenti ai reali bisogni.
- Presenza di edilizia sociale o a prezzi calmierati: garantisce il diritto all’abitare anche per le fasce più vulnerabili, prevenendo l’espulsione.
- Monitoraggio continuo dei valori immobiliari: tenere sotto controllo l’aumento dei prezzi aiuta a individuare precocemente i segnali di gentrification.
- Governance mista pubblico–privato–comunità: equilibra gli interessi economici con quelli sociali e ambientali, coinvolgendo chi vive e lavora nei territori.
- Comunicazione trasparente e anti-narrativa speculativa: evitare slogan e promesse eccessive riduce il rischio di attrarre investimenti speculativi a scapito dell’equilibrio locale.
In sintesi
Un parco può cambiare tutto: rendere un quartiere più vivibile, sano, bello. Ma può anche farlo diventare inaccessibile per chi lo ha sempre abitato. Una città davvero verde è una città che non espelle. È una città giusta.