Chiudi
Cerca nel sito:

PFAS: 5 Paesi europei chiedono la restrizione

Condividi l'articolo

Cinque Paesi europei hanno presentato all’Agenzia europea delle sostanze chimiche una proposta di restrizione alla produzione e all’uso dei PFAS. Se adottata nel Regolamento REACH sulle sostanze chimiche potrebbe rappresentare una vera e propria svolta nella lotta alle contaminazioni chimiche.


Si sta aprendo una nuova fase nella storia della contaminazione chimica del pianeta? Nel gennaio di quest’anno cinque paesi europei – Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia – hanno presentato all’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA – European Chemicals Agency) una proposta per la “Restrizione alla produzione, all’immissione sul mercato e all’uso dei PFAS”.

I PFAS sono sostanze chimiche persistenti e difficilmente degradabili, che tendono ad accumularsi nell’ambiente e nei tessuti degli organismi. “A causa della loro solubilità e mobilità in acqua – motiva la proposta – la contaminazione delle acque superficiali, sotterranee e potabili e del suolo si è verificata nell’Unione europea e a livello globale, e continuerà. È stato dimostrato che è moltodifficile ed estremamente costoso rimuovere i PFAS quando vengono rilasciati nell’ambiente. Inoltre, alcuni PFAS sono stati documentati come sostanze tossiche e/o bioaccumulabili, sia per la salute umana che per l’ambiente. Se non si interviene, le loro concentrazioni continueranno ad aumentare e i loro effetti tossici e inquinanti saranno difficili da contrastare”.

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che partecipa attivamente ai comitati dell’ECHA e supporta il ministero della Salute, ritiene necessario stabilire requisiti normativi che consentano di proteggere adeguatamente la popolazione e l’ambiente dai pericoli e dai rischi associati all’utilizzo di questa categoria di sostanze. Secondo gli esperti dell’istituto, l’eliminazione graduale dei PFAS è un elemento chiave della Strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili adottata dalla Commissione europea nel 2020 e condivisa dall’ISS. “Si tratterebbe della regolamentazione più ampia e significativa presentata nella storia dell’Unione Europea, e probabilmente anche a livello globale”, spiega Greenpeace Italia. “Quella dei PFAS – spiega Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna inquinamento dell’associazione – è un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo. Finalmente, su spinta di alcune nazioni, l’Europa ha deciso di intervenire. Al contrario dell’Italia”.

Restrizione all’uso dei PFAS: la proposta dei 5 Paesi Ue

Nel mirino dei cinque Paesi Ue circa 10 mila sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche. “Non solo i PFAS noti per essere persistenti, bioaccumulabili e pericolosi per la salute – chiarisce ancora Greenpeace – ma anche i polimeri che ne derivano, i cosiddetti fluoropolimeri”. La definizione usata nella proposta “copre anche tutti i PFAS a catena corta come i gas fluorurati, usati nella refrigerazione, nel riscaldamento e nella ventilazione. Vengono considerati allo stesso modo anche quei PFAS che hanno buone caratteristiche di degradabilità, che però, quando dispersi nell’ambiente, si decompongono in PFAS più pericolosi e persistenti”.

Dopo la pubblicazione da parte dell’ECHA, sulla proposta di restrizione è stata avviata una consultazione pubblica di sei mesi, che sta per concludersi. I comitati scientifici dell’ECHA per la valutazione dei rischi (RAC) e per l’analisi socioeconomica (SEAC) utilizzeranno i contributi ricevuti per valutare la proposta e formulare un parere in merito. Una volta adottati, i pareri dei due comitati saranno inviati alla Commissione europea, che preparerà la propria proposta legislativa da discutere in seno al Comitato degli stati membri per il Regolamento REACH sui prodotti chimici. Prima di essere adottata, la restrizione sarà esaminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

Il dossier presentato dalle agenzie per l’ambiente di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, oltre a prendere in esame i rischi ambientali e gli effetti sulla salute di questi composti,  fornisce una valutazione complessiva sull’efficacia, la praticabilità e la possibilità di monitorare gli effetti e le conseguenze della proposta, oltre agli impatti socioeconomici. Valutazioni che, ovviamente, passeranno al vaglio dei due comitati ECHA.

Messa al bando dei PFAS: le alternative esistono?

I PFAS sono impiegati in una miriade di processi industriali: dalla manifattura che usa gas fluorurati al tessile, dall’edilizia al petrolchimico, all’elettronica. Ma le alternative esistono. L’Appendice E2 del documento pubblicato dall’ECHA le riporta raggruppate per settore di applicazione. Sono anche disponibili diversi modelli che aiutano nella scelta, come la piattaforma gratuita VEGAHUB dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, che permette di scegliere per ordine di importanza sostanze alternative ai PFAS, in base all’impatto negativo sull’ambiente e sulla salute.

Inoltre, secondo l’Istituto Superiore di Sanità “riveste particolare importanza condurre, di concerto con il Comitato tecnico nazionale di coordinamento REACH, un’attenta valutazione degli usi considerati essenziali e dei possibili impatti sugli usi considerati insostituibili dall’Industria”.

Nonostante le alternative ai PFAS siano già sul mercato, l’industria generalmente non ha preso bene l’idea del bando. Sebbene la Germania sia uno dei Paesi che hanno avanzato la proposta, le aziende dell’automotive, dell’elettronica e della meccanica hanno avvertito che senza PFAS non ci saranno turbine eoliche, accumulatori di energia, auto elettriche e semiconduttori. Mettendo in subbuglio il governo. E così, mentre la proposta a gennaio aveva avuto il sostengo del ministro dell’Ambiente (Verdi),  il mese scorso il ministro dell’Economia e del clima, Robert Habeck (anche lui dei Verdi), ha espresso riserve a riguardo. Secondo il Guardian le lobby lavorano alacremente: stando ad un’analisi di Corporate Europe Observatory, 11 operatori del settore PFAS in Germania hanno impiegato 94 lobbisti e speso nell’ultimo anno 9 milioni di euro. Mentre a Bruxelles 12 membri dell’industria dei PFAS hanno 72 lobbisti attivi e una spesa annua compresa tra 18 e 21 milioni di euro. Venendo all’Italia, “nonostante il nostro Paese sia teatro del più grave caso di inquinamento a livello comunitario – ricorda Ungherese di Greenpeace – le autorità nazionali ancora oggi scelgono di non adottare alcun provvedimento. Un inquinamento che oltre al Veneto non risparmia altri territori come il Piemonte e la Lombardia e che riguarda l’acqua, l’aria, gli alimenti e il sangue di migliaia di persone. Esortiamo il governo, il parlamento e i ministeri competenti ad assumersi le proprie responsabilità, supportando la proposta europea senza compromessi al ribasso e cercando di tutelare l’ambiente e la collettività”.

Ultime Notizie

Cerca nel sito