Chiudi
Cerca nel sito:

Rigenerazione urbana: per funzionare deve essere partecipata

Condividi l'articolo

Senza tenere in debita considerazione il legame indissolubile tra questioni ambientali e sociali non può esserci né rigenerazione urbana né transizione ecologica equa. Ma alcuni esempi positivi ci sono. Ce li racconta Legambiente.  

Si fa presto a dire rigenerazione urbana. Ma attenzione, avverte Legambiente nel dossier “Periferie più giuste”, perché le connessioni tra questioni am­bientali e questioni sociali sono fortissime, e non si dà transizione ecologica senza coinvolgere la società. Né rigenerazione urbana senza una rigenerazione delle comunità. “Con questo lavoro – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente- vogliamo non solo evidenziare che esistono oggi esperienze concrete di successo, nate dal basso e realizzate interamente nell’ambito e a favore delle periferie urbane, ma anche favorire una discussione aperta con tutti coloro che sono chiamati a occuparsi delle sfide politiche e culturali che ci aspettano da qui ai prossimi anni e che hanno al centro le aree urbane”.

Le periferie sono le cartine al tornasole della rigenerazione urbana

Negli ultimi anni abbiamo as­sistito alla rapida evoluzione sia delle disugua­glianze sociali che della crisi climatica, le une e l’altra in crescita esponenziale, che rappresen­tano oggi il nodo principale dell’intreccio tra giu­stizia ambientale e sociale. Ma è nelle periferie urbane che le tante forme di disuguaglianza che colpiscono la vita delle persone, che corrodono il senso di comunità, sono più evidenti. È qui che si concentrano fragilità e bisogni di cui tener conto per affrontare la sfida di una transizione ecologica equa. Le periferie rappresentano dunque una cartina di tornasole della qualità della transizione, un processo che riguarda la società e le infrastrutture, materiali e immateriali.

Le politiche pubbliche finalizzate alla riqualificazione delle aree urbane lontane dal centro, denuncia Legambiente, sono state “deficitarie sotto molti punti di vista, ma soprattutto per due aspetti: la provvisorietà, perché affidate a bandi e non a programmazioni strutturali, e la separazione della riqualificazione fisica da quella sociale e culturale”. E i luoghi che non contano generano nelle persone che li abitano frustrazione e rabbia; che solo nei casi migliori diventano orgoglio e appartenenza. Le leggi urbanistiche regionali negli ultimi vent’anni hanno inglobato i concetti di sostenibilità ambientale (e con questa anche la riduzio­ne del consumo di suolo) e rigenerazione urbana. “Purtroppo, però – commenta Zampetti – le leggi non producono au­tomaticamente politiche. Casomai è vero il contrario”.

Perché la rigenerazione urbana assuma valore, non solo ambientale o commerciale, ma anche sociale, è assolutamente necessaria una forte partecipazione dal basso e la sinergia tra comunità e istituzioni pubbliche; serve inoltre una road map nazionale che metta davvero al centro le periferie, attraverso politiche e interventi duraturi e lungimiranti che permettano di contrastare disuguaglianze ambientali, sociali ed economiche, in aumento soprattutto nelle aree urbane. L’obiettivo è consentire alle persone di vivere bene, in dignità e sicurezza; intesa come sicurezza di lavoro e sul lavoro, nella casa, nell’accesso ai servizi e alle innovazioni tecnologiche, nella salute, nella qualità dell’istruzione.

Buone pratiche di rigenerazione urbana equa

Legambiente ha raccolto storie di un’Italia in fermento, dove le periferie diventano preziosi laboratori di innovazione, accoglienza e inclusione sociale, contrastando disuguaglianze, povertà energetica e abitativa. Vediamo alcuni esempi.

L’edilizia sociale di Ferrara “Le Corti di Medoro” è – secondo l’associazione ambientalista – uno degli esempi meglio riusciti di rigenerazione urbana in Italia. Realizzato da ACER (Azienda Casa Emilia-Romagna), ha permesso di recuperare gli immobili esistenti di un complesso di 48 mila mq sorto alla fine degli anni Ottanta come Centro polifunzionale integrato, ma mai utilizzato e, con gli anni, in avanzatissimo stato di degrado. ACER non si è limitata a recuperare volumi da destinare al social housing, ma è partita dalla necessità di fornire il comparto edilizio di servizi di vicinato, di servizi di ambito urbano (uffici della polizia municipale) e attività commerciali di prossimità, all’interno di un sistema di piazze, a sua volta immerso in un parco verde di 10 mila mq. Il progetto è stato ideato con l’obiettivo di costruire una comunità. E quindi con un progetto sociale, oltre che fisico. Per questa ragione si è data prevalenza ai servizi e agli spazi comuni, oltre ad una profonda riqualifica­zione energetica degli immobili, che sono tutti in classe A.

Nel 2003 il Comune di Crotone ha promosso un concorso di idee nell’ambito del Pro­gramma comunitario Pic Urban, per la riqualificazione del Parco Pignera, un’area di 18 ettari, dando vita al Giardino e Museo di Pitagora, primo museo all’aperto dedicato alla scienza e alla matematica. Progetto plu­ripremiato a livello anche internazionale e la cui realizzazione è stata completata nel 2008, ma mai aperto perché devastato nelle suppellettili e nelle strutture alcuni giorni prima dell’inaugurazione. Dopo un periodo di abbandono, che contribuì al degrado dell’unica area verde pubblica estesa del Comune di Crotone, nel 2011 il progetto viene affidato al con­sorzio Jobel, una articolata rete di soggetti del terzo settore. “Il Consorzio ha innescato un processo comunitario di forte cambiamento – spiega Legambiente – Si è sperimentato un vero e proprio processo di rigenerazio­ne di un ecosistema che ha puntato alla rivitalizzazione delle relazioni sociali, culturali, ambientali del territorio”. Il Giardino e Museo di Pitagora è divenuto oggi il principale presidio urbano dedi­cato all’inclusione sociale e alle attività didattiche formative dei minori “fuori la scuola”.

I giardini di via Leo­nardo Da Vinci a Barletta, intitolati nel 2012 al fondatore dello scoutismo Robert Baden Powell, con 12mila mq di superficie sono un vero e proprio polmone verde per il quartiere. Negli anni, però, i giardini sono stati trascurati, con conseguenze immaginabili: mancata cura del verde, rifiuti ovunque, giochi per bambini inutilizzabili, panchine distrutte, microcriminalità. Quando, nel 2020, Legam­biente Barletta sigla con l’amministrazione comunale un protocollo di adozione per gestire e prendersi cura – a titolo volontario e coinvolgendo gli abitanti del quartie­re – dei giardini nasce la “piazzetta del volontariato”: uno spazio adottato dalle varie associazioni locali che portano avanti progetti educativi rivolti ai giovani e tenuti dalla ASL; la decorazione del teatro grazie ad un progetto dell’istituto artistico e dell’associazione ScartOff; la piantumazione di decine di nuovi alberi.

Ultime Notizie

SALUTE
PFAS: come ridurre i rischi

Dai sistemi di filtrazione domestica all’attenzione alle etichette. I consigli di Greenpeace per ridurre i rischi di contaminazione da PFAS. Con la speranza che si...

Cerca nel sito