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Tessuto dagli scarti del cocco: moda sostenibile con il malai

Tessuto proveniente dal cocco: vestiti appesi
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Si chiama malai ed è un tessuto proveniente dagli scarti del cocco. Si tratta di una simil-pelle vegana, estratta dall’acqua del gustoso frutto. Si sta diffondendo sempre di più e ormai anche i marchi di alta moda hanno iniziato a utilizzarla per fornire ai loro clienti più sensibili un’alternativa sostenibile alla vera pelle di provenienza animale. Sceglierla rappresenta una decisione virtuosa in un’epoca nella quale lo stile di vita largamente accettato dalle società occidentali sta mettendo a dura prova la vita degli ecosistemi del nostro pianeta. È un bene che l’industria tessile cominci a pensare in questi termini, dal momento che si tratta della seconda al mondo per danni ambientali causati.

Il tessuto dagli scarti del cocco proviene dall’India

La pelle vegana malai è nata per rispondere a un’esigenza ben precisa. Occorreva fornire una soluzione alla richiesta di una fetta di clientela sempre più numerosa, la quale richiedeva a gran voce di poter indossare un tessuto della stessa eleganza della pelle ma figlio di un trattamento cruelty free e più sostenibile per l’ambiente. L’industria del fashion è una delle più impattanti, come abbiamo già scritto in occasione di altri approfondimenti dedicati a questo tema (si recuperino i focus sul fast fashion di Shein e quello sullo swap amico dell’ambiente), ma dà lavoro a persone che, necessariamente, devono essere attente alle sensazioni e agli stati d’animo della loro clientela.

Per tal motivo, l’intero settore non ha potuto fare orecchie da mercante di fronte al rinnovato interesse verso tutto quel che è green e amico dell’ambiente. La moda ha intercettato la domanda di indossare vestiti ecologici e meno impattanti e si è attrezzata per poterne proporre sul mercato. Il malai è stato ideato nello Stato del Kerala, in India, con l’apposito scopo di porre in vendita un’alternativa pulita. Nella federazione indiana è in atto una vera e propria guerra contro la pelle, poiché la sua produzione è tra le principali ragioni di inquinamento ambientale.

Fibre sostenibili, come il tessuto dagli scarti del cocco, rappresentano un’alternativa sostenibile per uno dei settori più inquinanti del mondo

Il segreto sta nell’utilizzo di cellulosa

La produzione di tessuto dagli scarti del cocco si pone in netto contrasto con i processi industriali che mettono sugli scaffali altri materiali. Il biocomposito sostitutivo della pelle utilizza cellulosa batterica come componente principale, un prodotto sostenibile e completamente biodegradabile. Questa è disponibile in elevate quantità nell’India Meridionale, dove la popolare industria delle noci di cocco ne produce moltissima come rifiuto agricolo proveniente dalla sua attività.

I due creatori di questo tessuto sono una stilista slovacca trasferitasi a Mumbai, Zuzana Gombosova, e il suo compagno di vita e lavoro, Susmith Suseelan. Gombosova è da sempre interessata al potenziale dei microrganismi nella creazione di materiali alternativi più sostenibili e, durante il periodo che ha trascorso a Londra, ricercando nuovi materiali per il design presso il College of Arts di Central Saint Martin, si è avvicinata all’idea di sfruttare la cellulosa batterica ottenuta dalla trasformazione di un materiale semplice come l’acqua delle noci di cocco. Il trasferimento in India è dovuto proprio all’intenzione di specializzarsi nella realizzazione di questo avveniristico tessuto.

Suseelan non proviene da un background legato al fashion. È ingegnere meccanico e product designer. Dopo essersi avvicinato alla ricerca di Gombosova ne è rimasto profondamente affascinato, al punto di sposare appieno il progetto con grande entusiasmo.

L’idea alle spalle del tessuto dagli scarti del cocco

“Il vantaggio di malai deriva dal fatto che la materia prima utilizzata è un prodotto di scarto. Ci sono molteplici frantoi di cocco in Kerala, i quali potrebbero contribuire e trarre beneficio da questo progetto. Abbiamo quindi cominciato a sperimentare i batteri presenti nell’acqua di cocco, e infine a coltivarli appositamente per trasformarli in tessuto.”

Ha dichiarato Zuzana Gombosova. Inizialmente, non vi era alcuna intenzione di ideare un tessuto potenzialmente capace di sostituire la pelle. Si voleva semplicemente proporre un’alternativa, un nuovo materiale che non impattasse sull’ambiente. Le potenzialità di questa stoffa non erano ben chiare neppure ai suoi ideatori, i quali hanno realizzato soltanto in un secondo momento tutte le possibilità che aveva la loro invenzione. La dottoressa ha precisato, in un’intervista per Vesti la Natura:

“Eravamo interessati principalmente alle proprietà sostenibili della cellulosa in generale. Questo era il nostro punto di partenza. Volevamo lavorare con esse e sviluppare il materiale fino al punto di renderlo adatto all’uso commerciale. Non sapevamo quale sarebbe stato il risultato finale. L’idea iniziale era di creare materiali di imballaggio sostenibili, mentre la moda e altre applicazioni differenti si sono palesate soltanto in un secondo momento, quando abbiamo compreso quali fossero le reali possibilità offerte da questo materiale.”

Non solo una forte somiglianza visiva

L’intuizione della trasformazione della fibra si deve all’osservazione empirica del materiale, il quale ha una forte somiglianza visiva con la pelle. Partendo da questo assunto, si decise in corsa di esplorare ulteriormente le sue caratteristiche e lavorare sulle proprietà complementari della cellulosa batterica ottenuta dal cocco. Forza, flessibilità, semplicità delle tecniche di lavorazione e usabilità. Ci si accorse ben presto che era possibile generare un tessuto indossabile, simile alla pelle, e si scelse di proseguire sulla strada del tessuto alternativo, puntando forte sulla moda sostenibile.

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Mattia Mezzetti

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