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Bonifiche sostenibili: Assoreca propone una Linea guida

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I progetti di bonifica di un sito contaminato rispondono all’esigenza di proteggere l’ambiente e la salute umana, ma ad oggi non prendono in considerazione l’impatto delle attività di risanamento. Assoreca ha presentato una proposta operativa per realizzare bonifiche sostenibili.

Bonificare un sito contaminato non vuol dire necessariamente farlo in modo sostenibile: questo perché la normativa nazionale alla quale le bonifiche si attengono non contiene indicazioni specifiche sulla sostenibilità ambientale del processo. Ecco perché qualche mese fa Assoreca, l’associazione che rappresenta le aziende che operano nei settori ambiente, sicurezza, energia, salute e responsabilità sociale, attive anche sulla rigenerazione del territorio, ha elaborato la prima proposta di Linea guida operativa per la bonifica sostenibile. Ne abbiamo parlato con Angelo Merlin, presidente Assoreca, e Claudio Albano, responsabile dello sviluppo dei servizi ambientali della società di consulenza Jacobs, che ha guidato il gruppo di lavoro dedicato alla proposta.

Dott. Merlin, se avete sentito il bisogno di linee guida vuol dire che le bonifiche in Italia non sono tutte sostenibili, giusto?

Merlin: “L’attività di bonifica dei siti contaminati in Italia è disciplinata dal Decreto legislativo 152/2006, il cosiddetto Codice Ambiente. Noi riteniamo sia giunto il momento di rendere l’approccio a questo istituto concretamente rispettoso del principio comunitario dello sviluppo sostenibile. Principio che, in base al primo comma dell’art. 239 del D.lgs. 152/06, deve guidare proprio le attività di bonifica e ripristino dei siti contaminati e a cui si dovrebbe conformare ogni attività umana giuridicamente rilevante (così come dispone l’art. 3 quater del D.lgs. 152/06) e, pertanto, anche l’attività di risanamento ambientale. Ad oggi, però, non esiste nessuna forma di aiuto ad una Pubblica Amministrazione che abbia la voglia di colmare la distanza tra l’orizzonte retorico delle affermazioni di principio e la dimensione di come, nei fatti, considerare sostenibile un progetto di bonifica ambientale o di ripristino a seguito di un danno ambientale, così da rispettare i principi giuridici a cui ho accennato. Qui si inserisce la nostra proposta operativa”.

Da dove nasce questo progetto?

Albano: “Il progetto nasce da un percorso iniziato a livello internazionale diversi anni fa, con l’esperienza del Sustainable Remediation Forum (SuRF).  Il Gruppo di lavoro SuRF Italy è attivo in Italia dal 2012, a partire dall’iniziativa volontaria di una serie di importanti soggetti pubblici e privati che ho avuto l’onore di coordinare, arrivando a produrre nel 2015 il primo Libro Bianco sulla sostenibilità delle bonifiche Italia. Dal 2022, SuRF Italy si è riattivato come gruppo di lavoro, raccogliendo l’interesse e l’entusiasmo di tanti professionisti nel campo della sostenibilità e delle bonifiche, tra le società aderenti ad Assoreca, per sviluppare una proposta concreta, a disposizione degli operatori del settore”.

Come si definisce una bonifica sostenibile?

Albano: “Proprio nel Libro Bianco viene data una definizione di bonifica sostenibile. La riflessione su questi temi è iniziata negli USA con SuRF USA: negli Stati Uniti la sostenibilità è stata inizialmente molto orientata verso il tema ambientale, per cui si parla di green remediation più che di sustainable remediation, allargandosi al tema sociale solo in seguito. In Europa, invece, sia SuRF UK, che il network europeo NICOLE già dal 2010 hanno pubblicato una propria road map for sustainable remediation in cui si abbracciano i tre domini della sostenibilità: ambientale, sociale ed economico. La definizione di bonifica sostenibile cui si è giunti con SuRF Italy, aggiornata nella recente proposta di linea guida è quella di processo di gestione, bonifica, riqualificazione e riconversione di un sito contaminato, finalizzato ad identificare la migliore soluzione, che massimizzi i benefici della sua esecuzione dal punto di vista ambientale, economico e sociale, tramite un processo decisionale condiviso con i portatori di interesse e che sia in grado di reagire positivamente alle sfide poste dai cambiamenti in atto. Cosa ci dice questa definizione? Che i citati tre domini della sostenibilità devono essere combinati e massimizzati nella bonifica. Che il processo riguarda non solo la bonifica in sé, ma anche la gestione del sito dopo la bonifica stessa. Che il processo deve essere condiviso con gli stakeholder e infine che deve essere in grado di rispondere alle sfide del nostro tempo, tra cui i cambiamenti climatici, la crisi energetica, la lotta per le risorse e le risposte delle istituzioni e del mercato”.

La bonifica sostenibile deve dunque guardare oltre la bonifica, ma in che modo?

Albano: “È necessaria una gestione omnicomprensiva. Se vogliamo riqualificare, rigenerare un sito dobbiamo pensarlo sul lungo periodo: cosa deve diventare quel sito? Se, ad esempio, il sito rimane operativo ad usi industriali, quello che potremmo fare, in termini di azione da mettere in campo e tecnologie da applicare, sarà diverso da quello che potremmo fare in un sito che avrà un cambio di destinazione d’uso. In entrambi i casi è fondamentale sedersi ad un tavolo con gli stakeholder e definire cosa vogliamo fare di quell’area e quindi come meglio intervenire. Penso, ad esempio, al classico caso di una tecnologia di bonifica banale come quella di scavo e smaltimento. Non si può dire a priori che questo approccio non sia sostenibile, rispetto ad approcci di altro tipo: se la riqualificazione prevede comunque uno scavo, come nel caso della costruzione di un edificio, per cui si dovranno comunque rimuovere importanti volumi di terreno per realizzare piani interrati, bene, allora quell’approccio alla bonifica può risultare la tecnologia più efficiente da applicare. Per questo, in un’ottica lungimirante, è necessario integrare la fase di bonifica con la fase di riqualificazione. Altro esempio è quello di una stazione di rifornimento carburante con serbatoio interrato. Non serve fare un’analisi del ciclo di vita costosa e impegnativa per definire la soluzione più sostenibile: è importante, nel rispetto dei paletti e degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente, far sedere attorno ad un tavolo i soggetti interessati (ad esempio il Sindaco, i comitati cittadini, le autorità competenti, il proprietario del terreno). Penso ad un progetto citato nell’ambito di un convegno, in Canada, relativo alla chiusura di un distributore: la discussione portò a preservare la pensilina e la copertura di asfalto, invece di demolire tutto, per trasformare l’area in una pista da skate e una parete da arrampicata per ragazzi. Ovviamente bonificando suolo e sottosuolo: in questo modo sono stati risparmiati i soldi per la demolizione e lo smaltimento, generando un ritorno sociale importante con un basso investimento. Per questo è fondamentale che la bonifica sia un processo condiviso”.

Quali sono i caratteri essenziali di una bonifica sostenibile?

Albano: “La bonifica deve sicuramente rispondere al requisito della protezione della salute umana e dell’ambiente, nel senso del rispetto dei limiti di contaminazione di suolo e acqua. Ma ad oggi, tutto quello che esula dalle regole di conformità normativa – gli impatti che la bonifica, come ogni attività umana, comporta – non viene preso in considerazione nel processo decisionale. Una bonifica tramite scavo e smaltimento, ad esempio, vuol dire che ci saranno all’opera degli scavatori, decine di camion per trasportare il terreno nelle discariche (sempre più rare ed inaccessibili), magari a centinaia di chilometri di distanza, oltre a dover recuperare materiali puliti destinati al ripristino del sito da cave o altre aree: insomma, stiamo spostando su gomma una grossa quantità di materiali e terreno contaminato, con i conseguenti rischi che il trasporto comporta per la salute umana (rischio di incidente). Dal punto di vista ambientale non si fa che spostare la problematica legata alla contaminazione: si avranno emissioni in atmosfera, consumo di risorse energetiche, gas di scarico, contaminazione potenziale delle discariche. E poi si crea un disturbo alla popolazione circostante. È importate identificare e mappare gli indicatori ambientali, sociali ed economici legati al processo di bonifica. Indicatori che non hanno necessariamente lo stesso peso per tutti i siti. Ad esempio, se abbiamo a che fare con un sito in Sardegna, la scarsità idrica sarà probabilmente più importante che non in Emilia Romagna. E viceversa: pavimentazioni impermeabili per la messa in sicurezza di un sito in Emilia Romagna, potrebbero peggiorare notevolmente la situazione in termini di difesa del suolo e delle popolazioni”.

La sostenibilità del processo e della tecnologia impiegata per la bonifica dipende quindi dalle caratteristiche del singolo sito in cui viene adottata?

Albano: “Non esiste una tecnologia sostenibile e una non sostenibile a priori. Alcune tecnologie sono tendenzialmente meno impattanti, come le tecnologie in sito, le Nature Based Solutions (come la phytoremediation), ma queste potrebbero talora risultare incompatibili con un riutilizzo sostenibile del territorio in tempi rapidi, ad esempio”.

Se pensiamo alle bonifiche effettuate finora in Italia, sono in linea con la sostanza della vostra Linea guida?

Merlin: “Nella Linea guida c’è tutta una serie di indicazioni che dovrà essere recepita e che oggi nella maggior parte dei casi non lo è, perché le bonifiche si attengono esclusivamente al dettato normativo, che, come abbiamo detto, non si spinge così in là da fornire delle metodologie operative per la sostenibilità”.

Ora che la Linea guida è stata pubblicata, qual è il prossimo passo?

Merlin: “L’ambizione dell’associazione è quella che questa proposta attivi riflessioni su come concretamente dare esecuzione, in una attività di risanamento ambientale, al principio di sostenibilità. Diverse sono le possibilità anche se, a mio giudizio, la strada maestra rimane quella di implementare i margini di manovra delle amministrazioni pubbliche coinvolte attraverso la formulazione, da parte degli enti normativamente preposti, di norme che consentano di governare la complessità che è certamente presente in questo genere di valutazioni. L’applicazione di quanto indicato nella Linea guida, potrebbe essere condizione (in una prospettiva di normativa in divenire) per ottenere una riduzione del quantum della garanzia fideiussoria, in ragione dell’applicazione di un punteggio che consenta di valutare gli interventi in base ad un indice di sostenibilità. Non resta che auspicare che il documento elaborato all’interno dell’associazione ottenga una generale condivisione sul profilo tecnico, così da poterlo successivamente implementare in funzione dell’emanazione, da parte di soggetti istituzionalmente competenti, di una vera e propria linea guida che possa coniugare il rilancio economico delle aree interessate dalle contaminazioni e lo sviluppo sostenibile”.

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