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Emergenza idrica: come affrontarla?

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Nel distretto del Po la disponibilità di acqua diminuisce, ma cresce la domanda. Su come andrebbe affrontata la questione, e più in generale su come gestire la risorsa idrica in futuro, ne abbiamo parlato con Alessandro Bratti, segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po. 

L’Italia si trova di fronte a un problema, crescente, di siccità. Ne abbiamo parlato con Alessandro Bratti, segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po. Un distretto che si estende per circa 87mila kmq (comprendendo otto regioni, la Provincia autonoma di Trento e parte del territorio francese e svizzero), dove vive quasi un terzo della popolazione italiana – circa 20 milioni di persone – in cui viene prodotto oltre il 40% del PIL nazionale, il 55% della produzione idroelettrica, e sono presenti oltre 3 milioni di ettari di superficie agricola. Dal 2000, ben sette anni sono stati caratterizzati da un bilancio idroclimatico fortemente negativo, con un aumento dell’intensità dei singoli eventi piovosi ma una riduzione complessiva del numero di eventi. 

Nel distretto del fiume Po diminuisce l’acqua disponibile, ma cresce la domanda. Alessandro Bratti, come si affronta la questione su scala distrettuale? 

“La diminuzione progressiva delle precipitazioni, nell’ultimo ventennio, ha fatto registrare un decremento significativo della portata media in chiusura di bacino (che si misura come sezione del Po a Pontelagoscuro), di circa il 20% su base annua e del 45% nella stagione estiva. Nello stesso periodo, soprattutto a causa delle elevate temperature medie, è aumentata la richiesta d’acqua in alcuni settori, e in particolare in quello agricolo, che al momento si attesta attorno ai 16 miliardi di metri cubi l’anno sull’intero distretto. Per fronteggiare i problemi che stanno emergendo, sono necessarie riforme strutturali e investimenti, a partire dalle modalità con cui viene conservata e ripartita la risorsa idrica, fino ad arrivare all’ottimizzazione delle tecniche con cui viene utilizzata”. 

A livello nazionale, come si costruisce un piano per la gestione delle risorse idriche integrato? 

“Tra le priorità che l’Italia dovrà darsi, vi è sicuramente l’aumento di produttività per unità di acqua, nel settore agricolo. Ciò non vuol dire agire solo sull’efficientamento, ma anche fare investimenti per migliorare le pratiche di coltivazione e puntare a colture che meglio si adattino a condizioni di siccità. Per esempio, i sistemi di irrigazione a goccia, sebbene non adatti a tutti i tipi di colture, sono ancora troppo poco utilizzati nel territorio del distretto. Analogamente, le scelte colturali messe in campo dalle aziende sono ancora troppo orientate verso varietà estremamente esigenti in termini di apporto idrico, come il mais; anche a causa dello sviluppo del mercato della produzione di biomasse a scopi energetici. Ma rendere più efficienti i sistemi di utilizzo della risorsa e ottimizzare le pratiche colturali potrebbe comunque non bastare per garantire la sostenibilità del sistema agricolo, nel lungo periodo. Occorrerà prendere in considerazione anche la realizzazione di interventi infrastrutturali che consentano l’aumento di disponibilità di acqua nei periodi più siccitosi. Per avere un parametro di confronto, la capacità d’invaso nel distretto idrografico del Po è di circa 3,5 miliardi di metri cubi (di cui 1,5 miliardi mc ottenuti grazie alla regolazione dei grandi laghi alpini) a fronte di un fabbisogno irriguo di circa 16 miliardi mc. La Spagna, Paese notoriamente arido, ha bisogni irrigui prossimi a 20 miliardi mc, ma una capacità di stoccaggio di circa 50 miliardi di mc. Ai fini dello stoccaggio della risorsa, tuttavia, l’ingegneria idraulica non sempre può risolvere il problema: precipitazioni sempre più irregolari possono rendere inadeguate infrastrutture come dighe e sbarramenti. Non solo: la realizzazione di dighe e sbarramenti provoca una trasformazione dei fiumi che ha costi ecologici importanti, perchè finiscono col perdere variabilità di habitat, con una semplificazione degli ecosistemi e una perdita di diversità delle specie. Inoltre, dighe e sbarramenti richiedono una manutenzione adeguata, senza la quale invecchiano rapidamente, perdendo la capacità di invaso a causa dei sedimenti che si depositano sul fondo. In tal senso, sarebbe preferibile attuare misure win-win, che consentano di migliorare la disponibilità di risorsa nel periodo estivo grazie alla maggior connettività tra corsi d’acqua e falde acquifere, ma anche di mitigare i rischi di alluvione aumentando gli spazi a disposizione del fiume. L’implementazione di misure per ricaricare naturalmente le falde consente di poter immagazzinare un volume di risorsa idrica importante, che in condizioni di magra viene restituito al corso d’acqua con una qualità maggiore, in virtù dei processi di naturale depurazione che avvengono durante la fase di filtrazione tra le acque superficiali e quelle sotterranee”. 

PNRR: cosa prevede per il distretto del Po? 

“In linea con i Sustainable Development Goals, con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e con il Green Deal europeo, le aree d’intervento individuate dalla Missione 2 del PNRR riguardano l’agricoltura sostenibile, l’economia circolare, la transizione ed efficienza energetica, la mobilità sostenibile, le risorse idriche e l’inquinamento. Relativamente alla tutela del territorio e della risorsa idrica, sono stati stanziati oltre 15 miliardi di euro per realizzare interventi mirati a rafforzare la resilienza del territorio agli effetti del cambiamento climatico, soprattutto per quanto riguarda il dissesto idrogeologico, la tutela della biodiversità e la sicurezza dell’approvvigionamento delle risorse idriche. Per il distretto del Po, sono previsti interventi che vanno dal miglioramento delle infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento, alla riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua; dall’aumento della resilienza dell’agrosistema irriguo per una migliore gestione delle risorse idriche, al miglioramento dei sistemi fognario-depurativi. In questo contesto si inserisce anche il Progetto di rinaturazione del fiume Po, che rappresenta l’occasione per poter attuare, per la prima volta, un progetto di riqualificazione fluviale su scala distrettuale, con interventi basati su un approccio multidisciplinare integrato e l’obiettivo finale di gestire, e non contrastare, la dinamica fluviale, riducendone l’artificialità e aumentando la naturalità attraverso i rimboschimenti e il contrasto alle specie alloctone”. 

Ha preso recentemente il via il progetto Climax Po, per l’adattamento al cambiamento climatico nel distretto; con quali aspettative? 

“La Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici definisce il distretto padano come uno dei due casi speciali nazionali; le peculiarità del territorio ben si addicono a costituire un’area pilota per valutare le strategie di adattamento climatico, con specifico riferimento alla gestione delle risorse idriche. Il progetto Climax Po si pone l’obiettivo di identificare, valorizzare e ottimizzare le migliori strategie di adattamento ai cambiamenti climatici volte a proteggere, conservare e ripristinare la risorsa idrica e gli ecosistemi correlati, compresi i bacini fluviali, le falde acquifere e i laghi. Il fil rouge delle attività di progetto è la promozione dell’adattamento ai cambiamenti climatici attraverso una gestione intelligente delle risorse idriche di distretto. Obiettivi ambiziosi, che saranno perseguiti attraverso attività strutturate in 11 pacchetti di azioni (work packages), la cui realizzazione richiede necessariamente del tempo, da cui i 9 anni di durata”. 

Climax Po, quali azioni pilota replicabili sarà in grado di sviluppare? 

“Il cuore operativo del progetto sono una serie di azioni pilota che affrontano diverse macro-tematiche: gestire i grandi laghi regolati e gli invasi artificiali definendo strategie di adattamento al cambiamento climatico per questioni non direttamente legate alla risorsa idrica; migliorare la sicurezza idrica e la resilienza ai cambiamenti climatici attraverso soluzioni basate sulla natura e sugli ecosistemi; favorire l’implementazione di buone pratiche finalizzate alla mitigazione del rischio alluvionale, anche costiero; analizzare strumenti e tecniche per l’irrigazione”. 

Emergenza idrica: che indicazioni arrivano dal Ministero dell’Ambiente per gestirla? 

“A livello di amministrazioni centrali, Governo e Ministeri in primis, c’è consapevolezza della situazione e del fatto che vada affrontata con una visione su scala distrettuale. È positivo il fatto che con il DL Siccità si punti a rafforzare il ruolo degli Osservatori permanenti sugli utilizzi idrici, che già da anni sono operativi presso tutte le Autorità di distretto. Il fatto che questi organismi, attualmente attivi grazie ad accordi di tipo volontario tra i vari soggetti, diventino organi statutari delle Autorità di distretto con tanto di regolamento di funzionamento e poteri decisionali, dovrebbe consentire di gestire le situazioni di criticità garantendo un’equa distribuzione della risorsa tra tutti i portatori d’interesse, evitando così l’instaurarsi di situazioni potenzialmente conflittuali tra utilizzatori di monte e di valle”. 

Come si accresce la partecipazione in un settore in cui le parti coinvolte sono spesso in contrasto tra loro?

 “Deve essere chiaro a tutti che ci troviamo davanti a un cambiamento epocale, che deve essere affrontato con la giusta visione. Questo vuol dire che non possiamo permetterci di continuare a ragionare secondo i soliti schemi e dobbiamo essere pronti ad accettare il fatto che, per adattarci alle nuove condizioni ambientali, potremmo dover riadattare il nostro sistema sociale. È quindi evidente che, al di là del PNRR e di quello che nell’immediato si riuscirà a fare per fronteggiare l’emergenza climatica, per garantire la transizione verso un modello di gestione della risorsa in linea con la ‘nuova normalità’, occorrerà il contributo di tutti gli attori in gioco. Nella consapevolezza che la scarsità di acqua in Italia non è solo colpa della mancata pioggia e neve, ma di una gestione sempre meno in grado di conciliare fenomeni meteorologici estremi che provocano siccità e alluvioni, con le aspettative sociali ed economiche delle nostre comunità”.

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