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La Green economy in Italia, tra ritardi e benefici possibili

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Lo sviluppo della green economy in Italia è piuttosto in ritardo, tranne che per il tasso di riciclo dei rifiuti. Eppure la transizione ecologica porterebbe benefici economici e ambientali. Li quantifica la Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

Ci sono le performance reali e quelle possibili, a fronte di maggiori investimenti. Prevalentemente scarse e deludenti le prime, decisamente interessanti le seconde, sia in termini di guadagno che di creazione di nuovi posti di lavoro. Lo scenario che emerge dalla “Relazione annuale sullo stato della green economy in Italia” curata dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile è fatto di luci e ombre. Difficoltà e ritardi hanno caratterizzato lo sviluppo dei diversi settori dell’economia verde nel 2022 e delineano un quadro dove il tasso di riciclo dei rifiuti è l’unica nota positiva rispetto alle prestazioni degli altri Paesi Ue e agli obiettivi europei a tutela del clima; la decarbonizzazione non è in linea rispetto ai nuovi target europei; le emissioni di gas serra sono aumentate dal 2019 al 2022; l’energia rinnovabile è diminuita.  Puntare decisamente su un’economia circolare e rigenerativa sarebbe, secondo l’analisi della Fondazione, l’unica strada che consentirebbe di non sprofondare nelle conseguenze della crisi climatica: la transizione ecologica, pur essendo impegnativa e onerosa, è infatti in grado di generare benefici ben superiori ai costi. Ecco come.

Quali sono i vantaggi di un’economia circolare, rigenerativa e decarbonizzata

Secondo un recente studio di Confindustria e RSE (Ricerca Sistema Energetico), il raggiungimento degli obiettivi europei di decarbonizzazione al 2030 previsti dal pacchetto Fit for 55 richiederebbe per l’Italia investimenti pari a 147 miliardi di euro, una media di quasi 15 miliardi all’anno. Investimenti che al 2030 genererebbero un risparmio di energia fossile importata pari a circa 30 miliardi di euro, nonché un taglio delle emissioni di CO2 di ben 380 milioni di tonnellate, quantificato in 36 miliardi di euro di costi mancati. Dunque, nel decennio 2020 – 2030, il risparmio complessivo per il sistema Paese ammonterebbe a circa 66 miliardi di euro, proseguendo poi negli anni successivi. Senza contare che gli investimenti avrebbero un effetto moltiplicatore sulle attività economiche e il bilancio dello Stato, che al 2030 vedrebbe le proprie entrate aumentare di 530 miliardi di euro. Il pacchetto di decarbonizzazione sarebbe inoltre in grado di generare nuova occupazione, con un potenziale annuo di oltre 1 milione di posti di lavoro. Nella bozza del nuovo Piano per l’energia e il clima (Pniec) la stima degli investimenti nel periodo 2023 – 2030 è di 217 miliardi di euro: 70 miliardi in più rispetto allo studio di Confindustria – RSE, ma concentrati principalmente nel settore trasporti e residenziale anziché in quello energetico.

L’attuazione delle misure europee per l‘economia circolare consentirebbe all’Italia, al 2030, nello scenario più virtuoso, un risparmio di 82 miliardi di euro per l’approvvigionamento di materie prime e una diminuzione della produzione dei rifiuti pari a 17 milioni di tonnellate. Comporterebbe inoltre la creazione di quasi 97mila nuovi posti di lavoro nei settori del riciclaggio, riutilizzo, riparazione e noleggio. La transizione a un’economia con impatto a saldo zero, in equilibrio con le capacità rigenerative del capitale naturale, porterebbe all’Italia benefici 9 volte superiori ai costi sostenuti. La quota degli ecosistemi compromessi nel nostro Paese è più bassa della media europea e l’attuazione della Nature Restoration Law per il loro ripristino avrebbe costi minori, sia rispetto al PIL che per abitante. Sostenendo costi di intervento di risanamento e tutela degli ecosistemi per 261 milioni di euro, il nostro Paese avrebbe benefici per circa 2,4 miliardi di euro.

Green economy: le performance dell’Italia

La produttività delle risorse nel 2022 è ancora fra le migliori nell’Unione europea, a poco più di 3 euro di PIL per Kg di risorsa consumata, ma in calo rispetto ai 3,5 del 2019. La percentuale di riciclo dei rifiuti nel 2020 si attesta al 72%, a fronte di una media europea del 58%. Nel 2021 il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo è stato del 18%, un buon livello rispetto alla media europea, ma in diminuzione rispetto al 2020. Si segnalano, infine, nel 2023 rilevanti difficoltà nel mercato di alcune materie prime seconde, in particolare quelle plastiche.

Dal 2015 al 2022 le emissioni nette di gas serra sono scese solo del 4% (tra l’altro dal 2019 al 2022 sono aumentate del 2%). La riduzione delle emissioni in atto nella prima parte del 2023 – per ragioni climatiche e di rallentamento dell’economia – non basta ad allinearci con l’accelerazione richiesta dai target europei. Nel 2022 l’energia rinnovabile è passata dal 21% del 2021 al 19%: un trend ancora molto lontano dal target europeo del 40% al 2030. Le rinnovabili elettriche, che nel 2021 rappresentavano il 41% della richiesta, sono passate al 36% circa. Sono stati installati 3 GW di nuovi impianti per rinnovabili elettriche, in aumento rispetto alla media molto bassa degli ultimi anni, ma nonostante questo l’Italia è ancora ben lontana dai 10/12 GW annui di nuove rinnovabili che servirebbero per mettersi al passo con i target europei al 2030. In ritardo rispetto agli altri grandi Paesi europei: sempre nel 2022 la Francia ha installato 5 GW, la Polonia 6 GW, la Spagna 9 GW e la Germania 11 GW di nuovi impianti fotovoltaici ed eolici.

Nei trasporti, settore cruciale e particolarmente ostico per la decarbonizzazione, nel 2022 i consumi energetici e le emissioni di gas serra sono aumentati del 5%. Le nuove auto immatricolate sono calate del 10% rispetto al 2021, ma le auto a benzina e diesel rappresentano ancora l’86% del totale. Le auto full-electric immatricolate al 30 giugno 2023 erano 32mila: valori ancora molto bassi rispetto agli altri Paesi europei.

Benché l’Italia sia ricca di biodiversità, tutela nel complesso solo il 21% del proprio territorio e il 7% del proprio mare, contro una media europea rispettivamente del 26% e del 12%; per le aree protette a terra siamo al diciannovesimo posto nell’Unione europea.

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